Di. comparir foverchiamente ofcuro; Luce maggiore il noftro dir rischiari, Onde fvelato altrui fi moftri il vero.
A far l' Uomo felice unir conviene L'amor di fe colla ragione in lega, Che tendano fa d'uopo al fine istesso Coll' ifteffa prontezza, e forza eguale; Ambo il dolore ad evitar fon tratti, Ambo verfo il piacer Natura inclina; Ma il primo impetuofo appena è tocco Del piacer dall' afpetto lufinghiero, Che già dietro vi è perfo, e già divora Delle fue fmanie il defiato oggetto; La ragion lo diftingue, e gusta, quanto Prudenza chiede, e con maeftra mano, Senza guaftare il fiore, il miel ne coglie. L'Uomo ripor tutto lo ftudio debbe, S'ei vuol condur tranquillo i giorni fuoi, Nel feparare dal piacer dannofo
Il piacer virtuofo, ed innocente.
Delle paffioni in noi qual' è l'effetto?
Che fon mai, chi le defta? altro non fono, Che l'amor di fe fteffo intento sempre
A fuggir ciò, che aborre, e ciò, che brama,
Di rintracciar famelico, ed anfiofo ; Di un ben falfo, e real l'oggetto impreffo Nella mente le fveglia, e ponle in moto. Quando che fenza danno, e senza offefa Degl' intereffi altrui ristrette fono A foddisfar i noftri, allor ragione Le adotta, e fi affatica unitamente Con loro a fovvenir le urgenze noftre; E quando a maggior volo alzando il core, Fan, che un Mortale, anzi un' Eroe pofponga
A quei degli altri i fuoi vantaggi istessi, Ai lor trafporti allor ragione applaude, E di virtù col gloriofo nome Quegli sforzi magnanimi corona.
Coi folli fuoi chimerici penfieri Lo Stoico, che infenfibile fi crede, A renderfi impaffibile lavori.
La fua falfa virtù dentro al fuo core Priva d'azion fi giacerà fepolta
Senza ardor, fenza lena, e senza vita: Più forte è il noftro fpirto, e più conviene, Ch' ei s'agiti; egli muore nel ripofo, E nell' azione il viver fuo confifte.
Dalle paffioni in movimento è posta L'anima; e trae da lor, da lor riceve Forza, ed attività; nè pel tumulto Di quelle o fi trattiene, o fi fpaventa;
utile tempefta ad effa giova.
Tutta la vita è mar; de i nostri affetti
L'inftabile ondeggiare ogni momento
Ci fconvolge, ci affal: della ragione,
Il don, che il Ciel ci diè, tra le procelle
A noi ferve di buffola, e di guida,
E a traverfo de i fcogli perigliofi Può fol falvarfi il lume fuo Divino; Ma degli affetti i venti impetuofi Son neceffarj in Ocean si vafto.
Dio fteffo, il Grande Iddio, quando che moftra Altrui far vuol del fuo potere immenfo,
Efce fuor del profondo fuo riposo, E full' ali de i venti il mar paffeggia. Speme, amore, defire, e gioja fono Effetti del piacer, che li produce. Timor, fofpetto, odio, triftezza figlj
Son del dolor, che nel fuo fen nutre . Tutte quefte paffioni unite infieme
A far beato l'Uom fon deftinate: Dalla difcordia lor fi forma il nodo, Che lo fpirto col corpo in lega ftringe; Por regola, e confine alle paffioni, Sedar di quelle l'impeto, e il bollore,
Far, che non pieghin mai verfo gli eftremi, Effer lo fcopo dee d' Uomo prudente :
Questa è l'arte, onde il cor rimanga in calma Senza che fi avvilifca, e fi diftrugga;
Questo è ciò, che Dio chiede, e la Natura.
Tratto verfo il piacere il noftro fpirto
O lo poffiede, o coll' idea lo gusta,
O tutto in ritenerlo fi affatica,
O nel futuro a procacciarne agogna.
Di quefti affetti l'efca lufinghiera
Tanto ha ful cor d'impero, e di poffanza, Quanto che fon gli fpiriti vitali
Sparfi nel corpo numerofi
E da quefta forgente entro di noi La paffion dominante origin prende, Sempre reprefla, e vincitrice fempre; E qual già dell' Ebreo Legislatore Il ferpe vincitor contro gl' incanti Dell' Egizio Tiranno alzò la fronte, E ftrage fe' degli emoli mentiti ; Cosi ogni altra paffione ella foggetta, E quante ch' effe fon fiere, e ribelli,
Le divora, le abbatte, e tutte in fine
In fe le riunifce, e le trafmuta.
L'Uomo a morir comincia, allorchè nafce,
Poichè fin dalla cuna ei porta feco
Quel principio fatal, che lentamente
Verfo la Tomba i paffi fuoi declina ; Nel corfo de' fuoi di quefta maligna Semenza diftruttrice ogni momento
Col fuo fangue fi mefchia, e fi confonde, Finchè vi crefca, e prenda in fin vigore; Cosi quella paffion, che fopra tutte In noi dee prevaler, ful nofto fpirto Stende, e dilata il fuo fovrano impero ; Gl' influffi fuoi malefici in fegreto
Ella in noi fpande, ella del cor regina
I moti ne governa, ed ogni brama
In ciò, ch' ella desia, cangia, e converte. Li sforzi fuoi la fantafia feconda,
L'abito ciafcun giorno l' alimenta,
E più forte la rende, e più temuta.
Nè la mente, o il configlio argin le fanno, Anzi attizzan piuttosto i fuoi furori :
Benchè nemica, la ragione fteffa
Non s' oppon, non l' arrefta, anzi l'adula, E in fegreto l'infiamma, e l' avvalora; Qual coi fuoi raggi il Sol, quando percuote I fughi già corrotti, non li fana, Ma li fa più maligni, e più nocivi. Qualunque in fin fia la paffion regnante Speffo della ragione anco trionfa. Orgogliofa ragion, de i tuoi diritti. Ah quanto mal l'autorità foftieni ! Imbecille Sovrana, ofi tu forfe
A noi prefcriver Leggi? efpofta fempre Di qualche favorito alla mercede
Lafci di noftra forte a lui la cura
Qual' è dunque il poter, di cui ti vanti? Qual de i tuoi duri infegnamenti il frutto? Tu vuoi, che accorto i lusinghieri incanti
Di un piacer feduttore il cor paventi, Ma qual ci dai, per non cader, difefa? Quali per foggiogarlo armi ci porgi? Tu fu i noftri difetti, e i nostri mali A riflettere a forza ci coftringi :
Ma che può contro loro il tuo foccorfo ? Tu di acerbi rimproveri ci opprimi Per più miferi farci, e non migliori, Quel lume, che prefenti agli occhi nostri, Di tormento ci ferve, e non di guida; Tu le noftre follie copri, e difendi, E di virtù col nome il vizio onori;
In fin divien da te, che in cor fovente A un difetto leggier fegue un peggiore: L'arte in tal guifa i perigliofi umori Cacciando in altra via, fa, che fucceda La crudel gotta a men penofo male; E della crife il Medico invanito Crede di follevarci, e più ci aggrava. Dunque alle Leggi eterne di Natura L'Uomo fi arrenda umil, nè il piè rimova Dal fentier, che le addita; ogni altro fora Più fcabrofo, più incerto, e men ficuro. Non fpetta alla ragion di trarci in porto Senza contrato alcun: tralle procelle Difenderci, animarci è la fua cura; Qual prudente maeftro incaricato
Di erudirci, a noi di ella il Cielo amico,
E con difcreto impero i gufti noftri
Dee moderar, non fvellerli dal feno.
Della paffione in noi dominatrice
Si ferve il Cielo a compiere i difegni Dalla Divina Sapienza orditi,
E vuole, acciò rimangano adempiti
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