Con men fallibil regola, Ragione Scorgaci nel cammin: Dei più famofi Guerrieri ella ci fcopre un genio ifteffo, E con l'ifteffa impronta altrui gli nota; A contar da quel primo furiofo, Sitibondo di fangue, e di rapine, Cui del fonoro Titolo di Grande
Non fu la Grecia al fecol prifce avara, Fino a quel Re dei lidi Boreali, Di cui fu il fier coraggio impetuofo Egualmente, che agli altri, a lui fatale. Sempre un' Eroe di trionfare anela, Nè fi ftanca giammai dei fuoi Trofei, Finchè un popol riman, che vinca, e domi; Giammai fu i paffi fuoi volge la fronte, Per tornar fulle vie, che prima fcorfe; Di conquista in conquista avido vola, E fenza dare altrui, nè a fe refpiro, Bagna di fangue i fuqi funefti allori . Pinfi il Conquistator; qual fia mostrarvi Il Politico or debbo: un' Uomo è questo Circofpetto, che pone ogni fua cura I fegreti a fpiar dei noftri cuori Con iftudiati, e con maligni giri
Senzache agli occhi noftri ei mai fi fveli; Ei fi fa forte in fin ful noftro inganno. Che! Noi darem di fapienza il nome Ad un' arte, che fonda unicamente Sull' altrui debolezza il fuo foftegno?
Ma io voglio in fin, che con felice evento Ciafcun d'effi là giunga, u' fempre afpira; Che ci foggetti l' un con forza aperta, E l'altro con l'aftuzia ci deluda : Forfe l'arte perverfa, e l'omicida
Valore effer potranno a senso vostro Della gloria forgenti, e dell' onore?
No no, quei, che Virtù prende per guida, Che gradi eccelfi ottien, ma non li merca, Nè in cerca d' effi avidamente corre; Quei, che ftafli imperterrito, e costante O nell' efilio, oppur tra le catene; Quei, che ftabil, fermezza, ed equa mente Conferva tra i rovefci di fortuna,
O fia, che per mercè di fua virtude Refo della fua Patria oggetto amato,
| Qual già il faggio Antonino, alla rabbiofa Invidia l'armi in fin tolga di mano, O fia, che, qual già Socrate, dannato A ingiusta morte, impavido rimiri Approffimarfi a lui l'ora fatale:
Quefto quefto a ragione io Grande nomo, E degno è quefto, che ciafcun l' ammiri.
Quella vita immortal, che il nostro orgoglio
Defia, che renda eterni i nostri nomi;
Che fiam ufi a comprar con stenti,
Non è, che illufion vana, e fugace,
Viftofa, ma ingannevole chimera,
Ombra, e fantasma in fin di corpo privo,
Che non debbe d' Uom faggio attrarre i voti
Se della Gloria il faticofo calle
Premer vi piace, il tempo è, allorchè il Cielo
Vi ferba in vita ancor; dopo la morte
Un tal conforto inutile rimane;
E' il curar quella fama, e quella vita,
Che reftar può di voi dentro l' Iftoria, E' una fterile, e baffa compiacenza Di un frivolo compleffo di remote
Lodi, che allora udir più non fi ponne Quaiora il fato, Amico, ai voftri giorni Ponendo fin, di noftre brame ad onta, Per fempre vi torrà del dì la luce, Che potrà a voi giovar dei Sapienti Il fuffragio prezzabile, e pefante Tra voi divifo, e l'Orator Romano ? Forfe del romor dolce, e lufinghiero, Cui fol darfi quaggiù nome di fama, Han l'ombre degli eftinti alcun diletto? Piacer vi è fol per noi, qualora intorno
Ci ravvifiamo i grati Amici, paghi
Del noftro oprar, dei benefizj nostri; O che miriamo gl' invidi rivali,
Di noftra in van felicità gelofi,
Far maggior col lor duol la noftra calma. La folla degli ftupidi Mortali
Senza diftinzion cole, ed ammira
Cefar, che più non vive, Eugenio il grande
Pieno di vita ancor, cinto d' allori;
Il primo allor, che con ardir ribelle
Varca del Rubicon l'onda vietata; L'altro con intrepido valore
In faccia dei nemici il Ren trapafla; Ecco in fine qual' è quella mercede,
Che il più fermo coraggio ottien fovente Dalla Fama, confufo coi delitti
Al par di quei le lodi fue riscuote.
Forfe i doni d'ingegno han più vantaggio ? Ah che il premio fugace, e pafleggiero Di una frondofa fterile corona,
O di un plaufo, che prefto e nafce e muore, Speffo fon del faper la ricompenfa
Al par, Un' Uom veracemente e dotto, e faggio Della Divina Onnipotente mano E' la più bella, e nobile fattura, Ed è quel fol, di cui l'illuftre nome Tra gli encomj non finti a lui dovuti Degno fia di paffar con luftro eterno Di età in età nei Pofteri remoti. Di quel diletto interior, che nafce Dalla virtù, che l'innocenza dona, Chi fa qual fia la ricompenfa intiera ? Forfe che più pregevole, e toccante Non è di aflai, che i raddoppiati gridi Equivoci di un popolo adunato, Onde fovente un' Uom tanto fi eftolle? Qual fora il tuo contento, allorchè noto Ti foffe, che un' applaufo menzognero Di un' incenfo impoftor ti porga il fumo, Se fmentifce il tuo cor quelle fastose Lodi, e coi fuoi rimorfi irrequieti In fegreto ti accufa, e ti condanna? . Oh quanto di Marcello efule ancora Più verace è la gioja, e più perfetta
che di fortezza, e di valore.
Di quella, ond' è ricolmo il fuo Tiranno, Che gli die bando, benchè al fuo volere
Quefto rimiri, in mezzo a i fuoi Trofei, Il Senato ed il popolo foggetti ! Anco i funefti, e fcellerati Autori Di un nero tradimento, di un' atroce Parricidio l' Iftoria a noi rammenta, E quai nomi fon noti al par dei loro? Ma quai più in odio, ed in difprezzo fong? Voi, cui forni di raro ingegno il Cielo Apprendetemi, Amico, in qual profitto
Dell' Uom ridondi un si vantato dono,
Qual vantaggio ei ne trae? Chiaro comprende, Che più egli fa, più da faper gli refta. L'ingegno, è vero, a noi ferve di guida, Per farci accorti fu gli altrui difetti,
E intanto a noi più chiari i noftri fvela, E ammaeftrati allor da quefto lume, Scoprendoli, foffriam pena maggiore. Se i posti luminofi occupa un raro Spirto, del pari ei ne foftiene il peso, E oppreffo notte, e di fotto vi geme; Se tratto dall' amor dei ftudj ameni Del Sacro Monte delle Aonie Suore Nutre defio di formontar le cime,
Qual fpeme ha di trovarvi equo, e difcreto
Giudice, onde vi ottenga il grado, e il loco
Che a lui convien? Più ftima, e fama acquista,
Più efpofto dei malevoli rivali
In preda alle rabbiose arti rimane.
Vorrà forfe animando il fuo valore
Con miglior zelo, e con ardir più bello,
Della Patria, cui mira effer vicini
A fovraftare orribili perigli,
Prevenir le fciagure, e la ruina?
Lungi che alcun gli sforzi fuoi fecondi
Talun lo biafma, ed altri al più lo teme
E niun l'incoraggifce, e l' avvalora.
Oh falfo ben, felicità funefta,
Oh non invidiabil preferenza,
Che l'ingegno, e il faper danno ai Mortali. Saggi a bastanza, onde i diletti vani
Sprezzin, dal cieco Mondo ambiti a gara, E dalla nera invidia a un tempo privi Di quei, ch' offre ragione ai fuoi feguaci.
« AnteriorContinuar » |