Pria ne' lidi di Tracia, e poscia in Creta Fondar comincia Enea nova cittade: Ma lascia entrambe; e, d' Eleno i consigli Seguendo, fugge da' Ciclopi, e piagne
Del padre il fato, e le fredd' ossa copre.
Poichè fu d' Asia il glorioso regno
E'l suo re seco e 'l suo lignaggio tutto, Come al ciel piacque, indegnamente estinto, Ilio abbattuto e la Nettunia Troia Desolata e combusta; i santi augħri Spïando, a vari esigli, a varie terre Per ricovro di noi pensando andammo: E ne la Frigia stessa a piè d'Antandro
Postquam res Asiae, Priamique evertere gentem Immeritam visum Superis, ceciditque superbum Ilium, et omnis humo fumat neptunia Troia; Diversa exsilia, et desertas quaerere terras Auguriis agimur Divum: classemque sub ipsa Antandro, et phrygiae molimur montibus Idae;
Ne' monti d' Ida a fabbricar ne demmo La nostra armata, non ben certi ancora Ove il ciel ne chiamasse, e quale altrove Ne desse altro ricetto. Ivi le genti D'intorno accolte, al mar ne riducemmo, E n'imbarcammo al fine. Era de l'anno La stagion prima, e i primi giorni appena, Quando, sciolte le sarte e date a' venti Le vele, come volle il padre Anchise, Piangendo abbandonai le rive e i porti E i campi, ove fu Troia, i miei compagni Meco traendo e'l mio figlio e i miei Numi A l'onde in preda, e de la patria in bando. È de la Frigia incontro un gran paese
Da' Traci arato, al fiero Marte additto, Ampio regno e famoso, e seggio un tempo Del feroce Licurgo. Ospiti antichi
S'eran Traci e Troiani; e fin ch'a Troia Lieta arrise fortuna, ebbero entrambi
Incerti quo fata ferant, ubi sistere detur; Contrahimusque viros. Vix prima inceperat aestas, Et pater Anchises dare fatis vela iubebat: Litora tum patriae lacrimans, portusque relinquo, Et campos, ubi Troia fuit. Feror exsul in altum Cum sociis natoque, Penatibus et magnis Diis. Terra procul vastis colitur mavortia campis, Thraces arant, acri quondam regnata Lycurgo: Hospitium antiquum Troiae, sociique Penates,
Comuni alberghi. A questa terra in prima Drizzai'l mio corso, e qui primieramente Nel curvo lito con destino avverso Una città fondai, che dal mio nome Eneàde nomossi; e mentre intorno Me le travaglio, e i santi sacrifici A Venere mia madre, ed a gli Dei,
Che sono al cominciar propizi, indìco;
Mentre che 'n su la riva un bianco toro
Al supremo Tonante offro per vittima, Udite che m'avvenne. Era nel lito Un picciol monticello, a cui sorgea Di mirti in su la cima e di corniali Una folta selvetta. In questa entrando Per di fronde velare i sacri altari, Mentre de' suoi più teneri e più verdi Arbusti or questo, or quel diramo e svelgo; Orribile a veder, stupendo a dire,
Dum fortuna fuit. Feror huc, et litore curvo Moenia prima loco, fatis ingressus iniquis: Eneadasque meo nomen de nomine fingo. Sacra dionaeae matri, Divisque ferebam Auspicibus coeptorum operum: superoque nitentem Caelicolúm regi mactabam in litore taurum. Forte fuit iuxta tumulus, quo cornea summo Virgulta, et densis hastilibus horrida myrtus. Accessi; viridemque ab humo convellere silvam Conatus, ramis tegerem ut frondentibus aras:
A cotal suon, da dubbia tema oppresso, Stupii, mi raggricciai, muto divenni, Di Polidoro udendo. Un de' figliuoli Era questi del re, che al Tracio rege Fu con molto tesoro occultamente Accomandato allor, che da' Troiani Incominciossi a diffidar de l'armi, E temer de l'assedio. Il rio tiranno, Tosto che a Troia la fortuna vide
Volger le spalle, anch'ei si volse, e l'armi E la sorte seguì de' vincitori;
Sì che de l'amicizia e de l'ospizio E de l'umanità rotta ogni legge, Tolse al regio fanciul la vita e l'oro. Ahi de l'oro empia ed esecrabil fame! E che per te non osa, e che non tenta Quest' umana ingordigia? Or poichè 'l gelo Mi fu da l'ossa uscito, a' primi capi
Obstupui, steteruntque comae, et vox faucibus haesit. Hunc Polydorum auri quondam cum pondere magno Infelix Priamus furtim mandarat alendum Threicio regi; quum iam diffideret armis Dardaniae, cingique urbem obsidione videret. Ille, ut opes fractae Teucrum, et fortuna recessit, Res agamemnonias, victriciaque arma sequutus, Fas omne abrumpit; Polydorum obtruncat, et auro Vi potitur. Quid non mortalia pectora cogis, Auri sacra fames? Postquam pavor ossa reliquit,
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