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Dati si bruttamente al foco in preda,
Perchè i meschini, arse le navi loro,
Sian di lasciare i lor compagni astretti
Per le terre straniere. Or quel che resta,
E ch'a te chieggio, è che il tuo regno omai
Sia lor sicuro, e ch'una volta al fine

Tocchin del Tebro e di Laurento i campi,

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Se però quel ch' io chieggio è che dal cielo 1130
Al mio figlio si debba, e se quel seggio

Ne dan le Parche e 'l Fato. A lei de l'onde
Rispose il Domatore: Ogni fidanza
Prender puoi, Citerea, ne'regni miei,
Onde tu pria nascesti. E non son pochi
Ancor teco i miei merti; chè più volte
Ho per Enea l'ira e il furore estinto

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E del mare e del cielo. Ed anco in terra
Non ebb'io (Xanto e Simoenta il sanno)
De la salute sua cura minore.

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Exussit foede puppes, et classe subegit Amissa socios ignotae linquere terrae. Quod superest; oro, liceat dare tuta per undas Vela tibi: liceat laurentem attingere Thybrim: Si concessa peto, si dant ea moenia Parcae. Tum saturnius haec domitor maris edidit alti : Fas omne est, Cytherea, meis te fidere regnis, 800 Unde genus ducis. Merui quoque: saepe furores Compressi, et rabiem tantam caelique marisque. Nec minor in terris (Xanthum Simoentaque testor)

Allor ch'Achille a le Troiane schiere
Si parve amaro, che fin sotto al muro
Le cacciò d'Ilio, e tal di lor fe strage,
Che ne gir gonfi e sanguinosi i fiumi;
E Xanto de cadaveri impedito
Sboccò ne' campi, e deviò dal mare.
Era quel giorno Enea d'Achille a fronte,
Nè Dii, nè forze avea ch'a lui del pari
Stessero incontro. Io fui che nella nube
Allor l'accolsi; io che di man nel trassi
Quando più d'atterrar avea desío
Quelle mura odiose e disleali,

Che pur de le mie mani eran fattura.
Or ti conforta che ver lui son io

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Qual fui mai sempre, e, come agogni, il porto 1155 Attingerà sicuramente; e 'l lago

Vedrà d'Averno, e de'suoi tutti un solo

Eneae mihi cura tui. Quum Troia Achilles
Exanimata sequens impingeret agmina muris, 805
Millia multa daret leto, gemerentque repleti
Amnes, nec reperire viam atque evolvere posset
In mare se Xanthus: Pelidae tunc ego forti
Congressum Enean, nec Diis, nec viribus acquis,
Nube cava rapui: cuperem quum vertere ab imo S10
Structa meis manibus periurae moenia Troiae.
Nunc quoque mens eadem perstat mihi: pelle timorem.
Tutus, quos optas, portus accedet Averni.

Unus erit tantum, amissum quem gurgite quaeret:
Encide Vol. I

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Gli mancherà. Sol un convien che péra
Per condur gli altri suoi lieti e sicuri.
Poichè di Citerea la mente queta

Ebbe de l'onde il padre; i suoi cavalli
Giunti insieme e frenati, a lente briglie
Sovra de l'alto suo ceruleo carro
Abbandonossi, e lievemente scorse
Per lo mar tutto. S'adeguaron l'onde,
Si dileguar le nubi: ovunque apparve
Tutto sgombrossi, del suo corso al suono,
Ch' avea di torbo il ciel, di gonfio il mare.
Cingean Nettuno allor da la man destra
Torme di pistri e di balene immani,

Di Glauco il vecchio coro, e d' Ino il figlio,
E i veloci Tritoni, e tutto insieme

Lo stuol di Forco. Da sinistra intorno
Gli era Teti, Melite e Panopéa,

Unum pro

multis dabitur caput.

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His ubi laeta Deae permulsit pectora dictis,
Iungit equos auro genitor, spumantiaque addit
Frena feris, manibusque omnes effundit habenas.
Caeruleo per summa levis volat aequora curru:
Subsidunt undae, tumidumque sub axe tonanti S20
Sternitur aequor aquis: fugiunt vasto aethere nimbi.
Tum variae comitum facies; immania cete,
Et senior Glauci chorus, Inousque Palaemon,
Tritonesque citi, Phorcique exercitus omnis.
Laeva tenent Thetis, et Melite, Panopeaque virgo,

Qui per

Spio, Niséa, Címodoce e Talía.
l'amara dipartenza afflitto
Il padre Enea rasserenossi in parte,
E ciò che a navigar facea mestiero
Gioiosamente a' suoi compagni impose.
Tirar l'antenne, inalberàr le vele,
Sciolsero, ammainàr, calaro, alzaro,
Fér le marinaresche lor bisogne

Tutti in un tempo, ed in un tempo insieme
Drizzår le prore al mar, le poppe al vento.
Innanzi a tutti con più legni in frotta
Gía Palinuro il provido nocchiero,
E gli altri dietro lui di mano in mano.
Era l'umida notte a mezzo il cerchio
Del ciel salita, e già languidi e stanchi
Su i duri legni i naviganti agiati
Prendean quïete; quando ecco da l' alte

Nesaee, Spioque, Thaliaque, Cymodoceque. Hic patris Æneae suspensam blanda vicissim Gaudia pertentant mentem: iubet ocius omnes Attolli malos, intendi brachia velis.

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Una omnes fecere pedem; pariterque sinistros, 830 Nunc dextros solvere sinus: una ardua torquent Cornua, detorquentque: ferunt sua flamina classem. Princeps ante omnes densum Palinurus agebat Agmen: ad hunc alii cursum contendere iussi. Iamque fere mediam caeli nox humida metam 835 Contigerat; placida laxarant membra quiete

Stelle placido e lieve il Sonno sceso
Si fece quanto avea d' aere intorno
Sereno e queto: e te, buon Palinuro,
Senza tua colpa, insidïoso assalse
Portando a gli occhi tuoi tenebre eterne.
Ei di Forbante marinaro esperto
Presa la forma, come noto, appresso
In su la poppa gli si pose, e disse:
Tu vedi, Palinuro: il mar ne porta

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I 200

Con le stesse onde, e 'l vento ugual ne spira.
Temp' è che posi omai: china la testa,
E fura gli occhi a la fatica un poco
Poscia ch' io son qui teco, e per te veglio.
Cui Palinuro, già gravato il ciglio,

Così rispose: Ah! tu non credi adunque
Ch' io conosca del mar le perfid' onde,

Sub remis fusi per dura sedilia nautae:
Quum levis aetheriis delapsus Somnus ab astris
Aera dimovit tenebrosum, et dispulit umbras,
Te, Palinure, petens, tibi somnia tristia portans
Insonti! puppique Deus consedit in alta,
Phorbanti similis, funditque has ore loquelas:
Iaside Palinure, ferunt ipsa aequora classem;
Equatae spirant aurae; datur hora quieti:
Pone caput, fessosque oculos furare labori.
Ipse ego paullisper pro te tua munera inibo.
Cui vix attollens Palinurus lumina fatur:
Mene salis placidi vultum, fluctusque quietos

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