Fosse a Troia acerbissima guerriera, Ripetendone i semi e le cagioni, Se ne sentia nel cor profondamente Or di Pari il giudicio, or l'arroganza D'Antigone, il concubito d' Elettra, Lo scorno d'Ebe, alfin di Ganimede E la rapina e i non dovuti onori. Da tante, oltre il timor, faville accesa Quei pochi afflitti e miseri Troiani Ch' avanzaro a gl'incendi, a le ruine, Al mare, ai Greci, al dispietato Achille, Tenea lunge dal Lazio; onde gran tempo Combattuti dai venti e dal destino Per tutti i mari andàr raminghi e sparsi. Di sì gravoso affar, di sì gran mole Fu dar principio a la romana gente. Eran di poco, e del cospetto appena
Prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis: Necdum etiam caussae irarum, saevique dolores 25 Exciderant animo; manet alta mente repostum Iudicium Paridis, spretaeque iniuria formae, Et genus invisum, et rapti Ganymedis honores: His accensa super. iactatos aequore toto
Troas, reliquias Danaum atque immitis Achilli, 30 Arcebat longe Latio: multosque per annos Errabant acti fatis maria omnia circum. Tantae molis erat romanam condere gentem. Vix e conspectu siculae telluris in altum
De la Sicilia navigando usciti, E già, preso de l'alto, a piene vele Se ne gían baldanzosi, e con le prore E co' remi facean l'onde spumose; Quando punta Giunon d'amara doglia,
Dunque (disse) ch'io ceda? e che di Troia
Venga a signoreggiar Italia un re,
Ch'io nol distorni? Oh mi son contra i fati.
Mi sieno. Osò pur Pallade, e poteo
Ardere e soffocar già de gli Argivi
Tanti navilii, e tanti corpi ancidere Per lieve colpa e folle amor d'un solo Aiace d' Oiléo. Contra costui
Ella stessa vibrò di Giove il telo
Giù da le nubi; ella commosse i venti
E turbò'l mare e i suoi legni disperse: E quando ei già dal fulminato petto Sangue e fiamme anelava, a tale un turbo
Vela dabant laeti, et spumas salis aere ruebant: 35 Quum Iuno, aeternum servans sub pectore vulnus, Haec secum: Mene incepto desistere victam, Nec posse Italia Teucrorum avertere regem? Quippe vetor fatis. Pallasne exurere classem Argivum, atque ipsos potuit submergere ponto, 40 Unius ob noxam et furias Aiacis Oilei? Ipsa, Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem, Disiecitque rates, evertitque aequora ventis; Illum, exspirantem transfixo pectore flammas,
Gente inimica a me, mal grado mio, Naviga il mar Tirreno; e giunta a vista È già d'Italia, al cui reame aspira; E d'Ilio le reliquie, anzi Ilio tutto Seco v'adduce e i suoi vinti Penati. Sciogli, spingi i tuoi venti, gonfia l'onde, Aggiragli, confondigli, sommergigli,
O dispergigli almeno. Appo me. sono Sette e sette leggiadre ninfe e belle; E di tutte più bella e più leggiadra È Deiopéa. Costei vogl' io, per merto Di ciò, che sia tua sposa e che tu seco Di nodo indissolubile congiunto Viva lieto mai sempre, e ne divenga Padre di bella e di te degna prole. Eolo a rincontro: A te, regina, (disse) Conviensi che tu scopra i tuoi desiri,
Gens inimica mihi tyrrhenum navigat aequor, Ilium in Italiam portans, victosque Penates: Incute vim ventis, submersasque obrue puppes, Aut age diversos, et disiice corpora ponto. Sunt mihi bis septem praestanti corpore Nymphae, Quarum, quae forma pulcherrima, Deiopeam Connubio iungam stabili, propriamque dicabo: Omnes ut tecum meritis pro talibus annos Exigat, et pulcra faciat te prole parentem. 75 Eolus haec contra: Tuus, o regina, quid optes Explorare labor; mihi iussa capessere fas est.
Ed a me ch' io gli adempia. Io ciò che sono, Son qui per te. Tu mi fai Giove amico Tu mi dai questo scettro e questo regno; Se re può dirsi un che comandi a' venti. Io, tua mercè, su co' Celesti a mensa Nel ciel m'assido; e co' mortali in terra Son di nembi possente e di tempeste. Così dicendo, al cavernoso monte
Con lo scettro d'un urto il fianco aperse, Onde repente a stuolo i venti usciro. Avean già co' lor turbini ripieni Di polve e di tumulto i colli e i campi; Quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto S'avventaron nel mare, e fin da l'imo Lo turbar sì, che ne fer valli e monti : Monti, ch' al ciel quasi di neve aspersi Sorti l'un dopo l'altro, a mille a mille Volgendo, se ne gían caduchi e mobili Con suono e con ruina i liti a frangere.
Tu mihi, quodcumque hoc regni, tu sceptra Iovemque Concilias; tu das epulis accumbere Divům, Nimborumque facis tempestatumque potentem. 80 Haec ubi dicta, cavum conversa cuspide montem Impulit in latus; ac venti, velut agmine facto, Qua data porta, ruunt, ét terras turbine perflant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque Notusque ruunt, creberque procellis Africus, et vastos volvunt ad litora fluctus.
Il grido, lo stridore, il cigolare De' legni, de le sarte e de le genti, I nugoli che 'l cielo e'l dì velavano, La buia notte, ond' era il mar coverto, I tuoni, i lampi spaventosi e spessi, Tutto ciò che s'udia, ciò che vedevasi Rappresentava orror, perigli e morte. Smarrissi Enea di tanto, e tale un gelo Sentissi, che tremante al ciel si volse Con le man giunte, e sospirando disse: O mille volte fortunati e mille
Color che sotto Troia e nel cospetto De' padri e de la patria ebbero in sorte Di morir combattendo! O di Tidéo Fortissimo figliuol! ch'io non potessi Cader per le tue mani e lasciar ivi Questa vita affannosa
Insequitur clamorque virúm, stridorque rudentum. Eripiunt subito nubes caelumque diemque Teucrorum ex oculis: ponto nox incubat atra. Intonuere poli, et crebris micat ignibus aether; 90 Praesentemque viris intentant omnia mortem. Extemplo Eneae solvuntur frigore membra. Ingemit, et, duplices tendens ad sidera palmas, Talia voce refert: 0 terque quaterque beati! Queis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis Contigit oppetere! o Danaum fortissime gentis Tydide, mene iliacis occumbere campis
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