Imagens das páginas
PDF
ePub

GONZAGA

OVVERO

DEL PIACERE ONESTO

DIALOGO

A SEGGI, ED AL POPOLO NAPOLETANO

ARGOMENTO

Agostino Nifo Calabrese, appellato il Sessa, che è il principale in

terlocutore di questo Dialogo, fu uno de'più solenni filosofi, che avesse l'Italia nella prima metà del secolo XVI. Finge l'Autore ch' egli s' incontri per Napoli in Cesare Gonzaga, figliuolo primogenito di Ferrante, Principe di Molfetta, il quale era giovane d'altissimo animo e fornito di molte lettere, e che questi lo guidi seco ad un giardino fuori della città per leggergli due orazioni, l'una di Vincenzo Martelli, l'altra di Bernardo Tasso, recitate alla presenza del Principe di Salerno nell' atto ch' ei stava per risolvere se dovesse, o no, accettare l'ufficio dell'ambasceria all' İmperador Carlo V. offertogli dalla città di Napoli sua patria, onde implorare che non fosse in quel regno introdotta l'Inquisizione. La prima di esse mirava a dissuadernelo: la seconda per lo contrario ad indurvelo Lette pertanto dal Gonzaga queste orazioni, e commendata dal Nifo sopra l'altra quella del Tasso per l'artificio rettorico, entrano fra loro a discorrere della cosa proposta in consulta. Si esaminano primamente le opinioni de' filosofi intorno all' Utile ed all' Onesto, che sono i due capi principali delle consulte, e si stabilisce che quando sieno discordi, l'onesto all'utile abbiasi a preferire. Fatta quindi quistione a quale de' due capi la cosa proposta possa ridursi, si determina ch' essa pertiene a quello, ove l'onestò coll' altro onesto par che venga in contesa. Oltre a questi capi, accennasi come eziandio si può consultare del giocondo, e come egli è altrettanto materia delle consulte quanto l'utile e l'onesto. Così ha fine la prima parte del Dialogo. Si dà principio alla seconda con alcune investigazioni intorno all'orrevole, e si dichiara che di esso non può farsi un capo particolare di consulta. Di qui si passa a considerare se sia più onesta cosa il servire alla Patria, o al Principe naturale, e si conchiude che il suddito è più obbligato al buon Re, che alla Patria. Parlasi appresso dell'uso di punire per opinioni di religione,

per

del come l' Inquisizione venisse instituita, e del perchè nella Spagna fosse introdotta. Cercasi poi se al regno di Napoli era necessaria una cosa simile a quella usata in Ispagna; e qui, provato che quel regno non ne aveva bisogno nè per ischivare mutazione di Stato, nè salute dell'anime, che sono le due cause, onde si suole introdurre la severità dell' Inquisizione, si afferma che la città d'Napoli, a cui un provvedimento sì inopportuno volevasi imporre, aveva diritto di richiamarsene a Cesare, e di eleggere ambasciadori a quesi'ufficio. Si dimostra per altro con buone ragioni che nè quella città doveva affidar il carico di tale ambasciata al Principe di Salerno, nẻ questi accettarlo; e che, ove per lui si fosse rifiutato, ciò avrebbe egli fatto non solo con vantaggio della Patria, ma ancora con molto utile ed onor suo. Viensi poscia a ragionar brevemente delle opinioni, che dividono dalla Chiesa, e si discute per ultimo, come di passaggio, se le opinioni di simil natura rechino infamia. In tal guisa posto fine all'esame del soggetto delle due orazioni, traggono gl' interlocutori argomento di nuovo discorso da una pittura, che si offre loro alla vista in una Loggia del giardino, in cui erano, rappresentante la trasformazione di Glauco Richiesto il Nifo dal Gonzaga a spiegare l'allegoria, prende egli a fare una dotta esposizione del sonetto del Casa, che incomincia: Già lessi, ed or conosco in me siccome Glauco ec., ove appunto quella favola è in qualche parte dichiarata. Dicesi quivi che in Glauco è figurato l'uoil quale ne' piaceri sensuali così di soverchio s'immerge, che quasi diventa bruto. Quindi parlasi del piacere, della natura sua, delle sue varietà; e come gli uomini per opera di esso ora agli animali bruti, ora agli Dei si assomiglino. Si vien poi investigando quale sia quel piacere, che possa addimandarsi perfetto; e chiudesi finalmente il Dialogo mostrando come il desiderio dell'onore e della gloria sia, adempiuto, piacevolissimo.

mo,

Sopra l'originale di questa scrittura, che si conserva nella Libreria Ducale di Modena, è notato di mano di Giulio Mosti che il Tasso la mandò fuori dalle prigioni di S. Anna ( in Ferrara) nel mese di Maggio dell'anno 1580, e forse ei l'aveva composta uno o due mesi innanzi. Essa è indiritta a' Seggi ed al Popolo Napolitano: il che fece Torquato per manifestare a quella nazione l'opinion sua circa la causa del Principe di Salerno, per la quale a cagione del padre esso pure, benchè innocente del tutto, era stato condannato all'esilio da quel regno ed alla confiscazione de' beni. Fu poi stampata per la prima volta in Venezia nel 1583; ma non si tosto venne alla lu ce, che fu cagione all' autore di gravissima guerra. Perciocchè avendo egli posto nell'orazion del Martelli, siccome fuoruscito Fiorentino, alcune parole dispettose contro alla fresca Signoria della Casa de' Medici, il Cavaliere Orazio Urbani, che si trovava Ambasciatore del Granduca alla Corte di Ferrara, senza badare se le parole fossero pronunziate dal Tasso, o da altri, credette di dover subito fargliene un delitto, e mandato il libro a Firenze, pretese che quel Sovrano ne chiedesse ragione all'autore, e ne avanzasse perfino delle forti doglianze alla Repubblica Veneziana per la poca accuratez za usata da' suoi revisori nel passare quelle parole, secondo lui, mol

to impertinenti e velenose 1l Granduca tuttavolta, avendo veduto che l'occasione di esse era assai ragionevole, stimò beŋe di non farne alcunissimo risentimento. Non così però piacque al bizzarro spirito Fiorentino di Bastiano de' Rossi, cognominato l'Inferigno, il quale in una sua lettera a Flamminio Mannelli tacciò apertamente il Tasso di avere in questo Dialogo vilipesa, e calunniata la nobilissima Patria sua. Fu nondimeno chiaro ad ognuno che ciò non era altro che un pretesto da lui accattato per iscusare in qualche modo il procedere aspro e villano, che l'Accademia della Crusca aveva fatto contro la Gerusalemmeliberata e contro il suo autore.

Alcuni anni dopo da che fu pubblicato, rivide e corresse il Tasso questo suo Dialogo intitolandolo più ragionevolmente il Nifo, o del Piacere; ed è notabile che fra le cose tolte via, è pure la bella esposizione del sonetto del Casa.

AGOSTINO SESSA, CESARE GONZAGA

AGOSTINO. Che cosa nasconde sotto la cappa il Sig. Cesare, in modo però che vuole ch'altri s'accorga ch'egli la nasconde? Non può essere se non preziosa, e degna di lui, qualunque ella sia.

CESARE. Crederesti forse che potesse essere qualche furto?

AGOSTINO. E perchè no? ma s'egli è furto, simile deve essere per avventura a quel del guanto, così leggiadramente descritto dal Petrarca, del quale egli non ben contento, desiderava d'avere altrettanto del velo.

Chi ebbe al mondo mai si dolci spoglie?
Così avess' io del bel velo altrettanto.
O inconstanza dell'umane cose!

Pur questo è furto, e vien che me ne spoglie. CESARE. Oh! piacesse a Dio che non fosse più agevole alla mia donna l'involare a me, di quel, che a me sia d'involare alcuna cosa a lei, che se così ben sapess'io, com'ella sa, guardarmi da' suoi accorgimenti, e dall'arti del furare, molto più ricco sarei di senno, che per avventura non sono; ma per molta industria, ch'io n'abbia spesa, non ho potuto involare a lei già mai pur un sguardo, così bene ella tutta in sè raccolta, sa guardare i tesori della sua bellezza.

(1) Si troverà immediatamente stampato dopo il presente.

[graphic]
[graphic]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
« AnteriorContinuar »