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CAVALIERE AMANTE

E LA

GENTILDONNA AMATA

DIALOGO
OGO

AL SIGNOR GIULIO MOSTI

ARGOMENTO

Ginlio Mosti, cui é indiritto il presente Dialogo, e che in esso intervien anco a discorrere, era un nobile giovane Ferrarese così studioso delle buone lettere, che per profittare de' dotti ragionamenti del Tasso, il quale trovavasi prigione in Sant' Anna, non solo andava molto spesso a visitarlo, ma lo veniva eziandio servendo 'ne' suoi bisogni con tanta lealtà e premura, che diventò il più caro de' suoi amici, edanzi l'unico, che godesse in quel tempo dell'intera sua confidenza. Lo che per avventura piacque al Cielo che fosse, acciò l'infelice Torquato nell' affetto di cotal giovane avesse un compenso de' mali trattamenti, che ogni di riceveva dallo zio di lui, ch'era il Priore dello Spedale, ov' egli stavn rinchiuso, Col Mosti è qui intradotta a favellare una leggiadra dama chiamata Giulia C, che alcu ne sere innanzi, essendo ad un festino, era stata invitáta a ballare da un cavaliere, il quale poi, disviatone dall' amata, più non comparve a cercarla. Dal costui procedere prendon essi occasione di ragionare intorno al debito del cavaliere amante, se, cioè, debba questi per amor dell' amata mancare coll' altre donne del debito e della creanza. Passano ei quindi a trattar dell'amata, e fanno quistione s'ella sia tenuta a favorir più gli amanti, o coloro che amanti non sono. Parlano appresso di molte cose d'amore, e pongono fine al loro colloquio con alcune considerazioni circa la natura e le qualità degli amanti.

Questo Dialago, che è uno de' primi che si vedessero stampati del Tasso, per quello, che a noi șembra, fu da lui scritto nell' anno 1580. Una copia di esso, tutta di mano di Giulio Mosti, conservasi nella libreria Ducale di Modena": ed il Serassi possedeva un esemplare della Terza Parte delle Rime e Prose delnostro Tarquato impressa in Venezia dal Vasalini nel 1583, ov' era questo stesso Dialogo tut to corretto di pugno dell'Autore, e quasi rifatto interamente, e in una maniera (egli dice) assai più bella di prima.

INTERLOCUTORI

GIULIA C. GIULIO MOSTI

GIULIA. Siete ancora sdegnato meco, Signor Giulio, perchè l'altra sera ricusassi di ballar con esso voi?

GIULIO. Io non posso negare che molto il vostro rifiuto non mi dispiacesse ; nondimeno piuttosto con me medesimo debbo essere sdegnato; perchè tale io doveva essere, e tale anco sforzarmi di parere a così giudiciosa Signora, come voi siete, che da voi non meritassi di essere rifiutato; dunque debbo anzi accusare il difetto del merito mio, che il mancamento della vostra cortesia.

GIULIA. Niun difetto di merito è in voi, per lo quale io di ballare con voi ricusassi, ma prima aveva altrui promesso, e per questa cagione non potei compiacervi.

GIULIO. Già questa scusa fu allora anco addotta da voi, rimie creduta da me. Ma da poi, che ic mi fui ritratto, rando intentamente, non vidi che da alcuno foste invitata; laonde credetti quel, che era convenevole che da me fosse creduto..

GIULIA. Di poca fede; dunque il vostro credere altro non fu, che negar credenza alle mie parole?

GIULIO. Si certo, perchè non so chi possa esser quello tanto trascurato, o sì poco giudizioso, che avendovi invitata a ballare, o se ne dimentichi, o non ne faceia stima.

GIULIA. E'fu pure alcuno, il quale se non se ne dimenticò, almeno dimostrò di farne poca stima: nè a me è sì nuova la smemoraggine di molti uomini, o il disprezzo, che fanno di noi altre, che allora molto me ne fossi maravigliata, se avessi conosciuto men cortese il Cavaliere: ma ora piuttosto mi maraviglio, che voi mosso da leggiera congiettura, giudichiate le mie parole indegne di fede.

GIULIO. Uomo peravventura può esser colui, che in tal modo del suo debito si dimentichi, e che si poca stima faccia di quelle cose, che debbono esser tenute in molte pregio, ma non gentiluomo, o giudicioso gentiluomo.

GIULIA. Se da voi fosse conosciuto colui di chi parliamo, e giudicioso e gentiluomo sarebbe giudicato.

GIULIO. S' egli è tale, peravventura, non per dimenti‐ canza, o per poca stima, ma per alcun'altra secreta ragio ne si rimase di venirvi a prendere ; e se amante è, convenevol rispetto il potè ritenere, e forse desiderio di far prova dell' animo vostro; perciocchè non meno gli uomini che le donne si fanno talora lecito di esercitar le persone, dalle quali sono amate, con gelosie, e con sospetti, e con altre simili passioni, i quali, comecchè peraltro possano esser giudiciosi, non si dimostrano almeno giudiciosi nell'amore.

GIULIA. Se io credessi d'essere tale, che fossi meritevole di amante giudicioso, vi potrei confessare che egli amante fosse ma posso dire ch'egli amante non sia, mio, almeno; perchè amante di alcun'altra, che più sia degna dell' amor suo, potrebbe essere peravventura.

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GIULIO. Non così facilmente vi crederò, Signora Giulia, che voi vi riputiate indegna di giudicioso amante, la quale di valoroso amante dignissima siete, a mio giudicio; come facilmente perdonerei a quel gentiluomo ogni colpa, quando non per difetto o di memoria, o di giudizio, o di creanza, fosse rimaso di ballare con esso voi: ma per abbondanza di amore, che ad altra donna portasse, la quale a sè l'avesse allettato, e da voi per gelosia disviato.

GIULIA. E se per questa cagione egli si fosse rimaso di ballare, giudicioso potrebbe essere insieme, ed amante, ma non mio; ed io prima avrei avuta alcuna ragione di ricusarvi, avendo prima promesso di ballare con uomo sì fatto, al quale se non in altro, avrei almeno potuto porgere alcun consiglio in amore, o alcun conforto; ed egli poi non senza molta ragione si sarebbe rimaso di venire a ballare con essomeco.

GIULIO. Non senz' alcuna ragione certo.

GIULIA. Dunque con alcuna ragione io di poca fede vi chiamai; poichè così facilmente credeste, che io non avendo promesso altrui, voi rifiutassi nel ballo, e negaste credenza a quelle parole, che v'eran dette da me così veramente. GIULIO. Se la mia è stata poca fede, peravventura da Dialoghi T. I.

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molta ragione è stata accompagnata; perciocchè sebben degno di scusa era quel giudicioso amante, che per non dispiacere alla sua donna, lasciava ingannata di sè così valorosa Signora, come voi siete, e se sempre la scusa è da alcuna ragione accompagnata, nondimeno con assai miglior ragione giudicioso amante si sarebbe dimostrato, se non si fosse mostrato desideroso di compiacere la donna sua, oltre il debito della creanza.

GIULIA. Io avrei creduto che il giudizio dell'amante si dovesse mostrare nel far elezione di donna meritevole, ma che, dappoichè tale se l'avesse eletta, dovesse ubbidirla a' cenni, e volere e disvolere tutto ciò, che a lei piacesse, o dispiacesse.

GIULIO. E quando a lei le cose convene voli dispiacesse¬ ro, e piacessero le sconvenevoli, assai dimostrerebbe di non aver fatto buona elezione; e se fu cosa poco convenevole lo schivare di ballar con voi, anzi scusar si può quel vostro giudizioso Cavaliero non conosciuto da me, che lodare; il qual sia, se a voi così pare, giudizioso per altro ; giudizioso nell'azioni non sarà mai, poichè donna si elesse di servire, che del suo debito lo inducesse a mancare.

GIULIA. Ma che dee fare, o Signor Giulio, colui, che da alcuna apparenza è ingannato, la quale molte fiate gli uomini giudiciosi suol ingannare? Ritirarsi nell' amore?

GIULIO. Dovrebbe, se può.

GIULIA. Ma credete voi che l'amore, che comincia per elezione, , possa anco per elezione aver fine?

GIULIO. A me pare che colui, che elegge di amare, faccia cosa ragionevole; perciocchè l'eleggere è operazione della ragione, e chi con ragione comincia ad operare non veggio perchè in mezzo delle operazioni debba la ragione abbandonare, e se non l'abbandona, dee sempre, che ragionevole le paja, poter ritirarsi dall'amore.

GIULIA. Quelli amori dunque, da' quali l'uomo a sua voglia non può ritirarsi, sono anzi per destino, che elezione?

per

GIULIO. Così dicono coloro, che vogliono che l'amore sia o per destino, o per elezione: io nondimeno non approvo la loro opinione, parendomi che niun amore sia dal

il quale

destino cagionato, e che molti non siano per elezione. GIULIA. E come chiamerete voi quell'amore, non sarà nè per destino, nè per elezione?

GIULIO. Volontario; il quale, come volontario, è diverso da quelli, che sono per destino, che sogliono esser ne◄ cessarj: e ne segue che sia sempre per elezione; perciocchè quelle cose, che si fanno per elezione, si fanno con consiglio ma molte sono le cose volontarie, che si fanno senz' esso; ed io sono stato assai intrinseco amico d'uomo, che non elesse di amare; nè fu da alcuna violenza necessitato ad aınare; ma amò, perchè si compiacque nella bellezza, e ne' costumi di bella, e valorosa donna, il qual compiacimento appoco appoco diventò amore, non perchè giammai eleggesse d'amare; ma perchè tornando la seconda volta a rivedere quel, che gli era piaciuto la prima, e la terza dopo la seconda, e la quarta dopo la terza, finalmente si accorse che amante era divenuto, ma certo assai moderato.

GIULIA. Ma quando egli tornava a rivedere la donna amata, non eleggeva di ritornarvi?

GIULIO. Poco importa se eleggesse di ritornarvi, ma certo con consiglio d'innamorarsi non vi ritornava, ma perchè il suo amore in questa guisa cominciasse; il cui principio so che è ben noto a tale, che s'infinge di non conoscerlo; non è però che altri non possa la prima volta senz'alcuna elezione, oltremodo di alcuna bellezza compiacendosi, di lei innamorarsi; chè se ciò non fosse possibile, indarno sarebbe stato detto:

Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error.

GIULIA. Se dunque molti sono gli amori volontarj, che non sono per elezione, assai facilmente può avvenire che quel del Cavaliero, del quale ragioniamo, sia piuttosto volontario, che per elezione.

GIULIO. Assai facilmente, a creder mio.

GIULIA. Ma gli amori sì fatti possono aver così il fine, come il principio volontario?

GIULIO. Alla volontà, ed all'appetito peravventura non può non piacere, quel che è piacevole, o che le pare; onde molte fiate queste potenze sono sforzate dall'obietto, e

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