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verni delle case del Vice Re di Napoli, e di Sicilia, e del Governator di Milano, così per proporzione corrispondono a quello delle case Reali, come anticamente quello de'Satrapi: la qual proporzione ancora si può ritrovare fra le case de' Duchi di Savoia, di Ferrara, e di Mantova, e quelle de' Governatori d'Asti, di Vercelli, di Modana, e di Reggio, e del Monferrato. Ma non veggio già come sia diverso il governo civile della casa, dal privato; se forse civile egli non chiama quello dell' uomo, che attende agli onori della Repubblica, e privato quel di colui, che separato dalla Repubblica, tutto s' impiega nella cura famigliare. E che ciò così stia, si può raccorre da quelle parole, ch' egli dice, che il governo privato è minimo, e trae utilità eziandio dalle cose, che dagli altri son disprezzate, ove per altri dee intendere gli uomini civili, che occupati in cose di alto affare, molte cose disprezzano, che da'privati non son disprezzate. Ma perciocchè esser potrebbe che alcuno de'nostri figliuoli, seguendo gli esempi del zio, ne'servigi delle Corti volesse adoprarsi, vorrei che alcuna cosa ancora della cura della famiglia Reale si ragionasse : ma già l'ora è sì tarda, che nol concede, tuttochè poche cose, oltre le dette, si possono addurre, le quali egli parte da❜libri di Aristotile, e parte dalla esperienza delle Corti potrà facilmente apparare.

Così diss' io: ed egli mostrando di rimanere alle mie parole soddisfatto, levandosi, in quella camera mi condusse, che per me era apparecchiata, ove io in un agiatissimo letto diedi le membra, affaticate dal viaggio, al riposo ed alla quiete.

MESSAGGIERO

DIALOGO

AL SENERISSIMO SIGNOR

VICENZO GONZAGA

PRINCIPE DI MANTOVA, E DI MONFERRATO

ARGOMENTO

Gl'interlocutori del presente Dialogo sono il Tasso ed uno Spirito. Finge in esso l'Autore che questi vada una mattina a svegliarlo dal sonno, e che per convincerlo d' essere veramente Spirito e non sogno, come in sulle prime dubita Torquato che egli sia, prenda forma di graziosissimo giovinetto, e gli si appresenti accompagnato da una moltitudine di fanciulli, simiglianti ad Amorini. Da così fatta ap parizione, ha principio fra essi un ragionamento intorno alle Intelligenze celesti ed ai Demoni, o Genii. Mostra lo Spirito, rispon dendo alle questioni del Tasso, come si dieno sì le une, che gli altri, cosa sieno, di qual natura, e quali gli uffici loro. Parlando dei Demoni, di che principalmente è quivi discorso, egli dice che e' sono spiriti vestiti di corpo aereo, destinati a congiungere per via di messaggio la natura umana colla divina, portando e riportando dal Cielo alla terra, e dalla terra al Cielo, ciò, che a'mortali è necessario o giovevole, come sono le grazie e i doni degli Dei; ed agli Dei, ciò che è grato e dovuto, come i vori e le preci degli uomini: ond' è che messaggieri vengono chiamati. Molte belle opinioni sono pure qua e lá incidentemente esaminate e circa gl' influssi celesti, e circa la creazione dell' universo, non che intorno agli amori degli Iddii e dei Demoni colle donne, ove accennasi come da tali amori nascano coloro, che Eroi si appellano. La conformità poi degli ufficj fra quei Demoni messaggierie gli ambasciadori, o messaggieri mortali, porge occasione al Tasso ed allo Spirito di ragionare anche di questi ultimi. Si determina quivi cosa sia l'ambasciadore, e si diffinisce esser quello, che rappresenta appresso un Principe la persona di un altro Principe a fine di amicizia e di pace. Entrasi poscia a distinguere gli ambasciadori in due specie, e dicesi come alcuni sono mandati per trattazione di negozj o di pace, o di guerra, o di tregua, o di lega; ed altri per una semplice dimostrazione di benevolenza, o di stima, come sarebbe il rallegrarsi di nozze, di nascimento di figliuqDialoghi T. I.

4 di acouss d autora, o il condolera di mort, ed informat a also sum, e complimento. Parlasi quindi di quelli che tengono deiI was e dell aura specie, quali sono gli ambassadori resident, ami e ufficio non meno il for complimenti, che il trattare magoza Discurse to quali cose, si passa a favellare del modo, con che des no conduri gli ambasciadori in generale, delar qualità, che in ess si richiedono, e delle differense loro secondo le specie de governi . Si vocano eziandio alcuni pericolari delle due diverse persone, ch' es sostengono, I una imposta loro daila netura, I altra dai Principe, da cui sono mandatí; e qui insegnasi come nelle solemnita pubbliche debban eglino sostenere il decoro del proprio Principe, e come pod ia privato, il pubblico col privato decoro sa loro convenevole di semprrare, &i da finalmente un'idea del perfecto oratore; e termina ii ragionamento col partirsi che fa lo Spirito dal Tasso, lasciando la costui camera piena di luce e di soavissimi odori.

Pose mano l'Autore a questo suo Dialogo nell anno 1580 di carnovale, secondo che appare da alcune parole dette dalio Spirito; e prima del Setembre susseguente già lo aveva condolo a termine. Lo indirizzò poi, dalla prigione di S. Anna in cui trocavasi, al giovine Principe di Mantwa Don Vincenzio Gonzaga, dalle mani del quale usci forse la copia, che servi alla stampa fattasene in Venezia dal Giunti due anni dopo. In questo frattempo però ei lo aveva corretto e scemato in più luoghi : ma non anco pago del suo lavoro, tornò di nuovo a furci intorno alcuni cangiamenti nel 1586, allorche uscito di carcere stavasi in Mantova presso quel Duca . L'originale, che contiene queste ultime mutazioni, si conserva con l'altro del Padre di Famiglia nella libreria Patriarcale di Udine.

Era già l'ora, che la vicinanza del Sole comincia a rischiarare l'Orizzonte, quando a me, che nelle delicate piume giaceva non risoluto in profondo sonno, ma leggiermente da esso legato in modo, che il mio riposo era mezzo fra la vigilia e la quiete, si fece all' orecchio quel gentile Spirito, che già quattro anni sono, sua mercede, cortesemente mi favella, e disse: Dormi tu? Io a quella voce, che piana e soave mi sonò sovra l'animo, fui sciolto da quel laccio, che legando i miei sentimenti nel cuore, chiudeva lor la strada all' operazioni, e svegliandomi affatto, risposi: Pur or lievemente era addormentato, ma la tua voce del tutto m'ha desto, la quale io riconosco alla sua soavità, perciocchè non suona come l'altre mortali favelle; ma in modo così dolce, ch'io argomenterei che tu fossi Spirito del Paradiso, che pietoso de' miei affanni venissi a consolarmi, se non fosse, che tu sei sempre più presto alla consolazione, che all' ajuto; ove gli Angioli

(per quello, ch'io ne creda) nɔn soglion recar men di soccorso, che di conforto: ma se Angiolo non sei, nè pavi esser reo spirito, non so veder quel che tu sii; onde temo alcuna volta che tu non síi un di que'notturni fantasmi, de quali ragionando il Poeta, disse:

Mai notturno fantasma

D' error non fu sì pien, com` ei ver noi .

A queste parole lo Spirito alzò la voce in modo, ch'io non l'aveva anco udito sì forte favellare; ma benchè egli ragionasse come sdegnato, lo sdegno nondimeno veniva mescolato dalla solita soavità; e le sue parole furon tali : Ingrato, questo premio riporto dalla grazia, colla quale io t'onoro, che io senta da te appellarmi fantasma pien d'errore? ma se non fosse, che la cura di te da tale m'è commessa, a cui convien obbedire, penserei d'abbandonarti. Allora io, mezzo fra vergognoso, e dolente: Deh! dissi, se non t'offenda ciascuna mia parola, e se non vuoi concedere alla mia ignoranza il poter dubitare, concedi almeno al inio affanno di poter lamentarmi; e siami lécito di poter dire verso te ciò, che alla madre Dea, che sotto mentite forme gli appariva, disse Enea perseguitato dall'ira di Giunone:

Quid natum toties crudelis tu quoque falsis

Lulis imaginibus? cur dextrae jungere dextram Non datur? ac veras audire, et reddere voces ? Benchè tanto sei tu più di lei crudele, quanto ella pure in alcun modo sotto alcun corpo gli s'appresentava agli occhi; ma te non vidi io giammai; e solo odo la voce tua, la quale è pur argomento che tu aħbi corpo, perciocchè la voce formar non si può senza lingua, e senza palato. E se hai corpo, perchè non lo dimostri? forse sei più dolce a udire, che bello a riguardare, e forse (vedi come sempre torno nelle solite dubitazioni!) questo mio è sogno, e tu altro non sei, che fattura della mia immaginazione; e sogni sono stati tutti i ragionamenti, che teco ho avuti per lo addietro.

Qui sorrise lo Spirito, e sorridendo, rispose: Il tuo vaneggiare, nato per soverchio d'affanno, rivolge in riso ogni mio disdegno; ed aspetto omai, che tu dica che io sia

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