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ver della Casa de' Medici, ora non debbo tacerlo; perchè la grandezza sua m'invita, e l'umanità di questi Principi m'assicura, ed all'obbligo di manifestare il vero s'aggiunge quello d' onorare i padroni. Prendendo dunque una via di mezzo tra l'uno debito, e l'altro, e l'una, e l'altra servitù, io dico che niun esempio di grandissimo valore fu negli antichi Eroi, di cui si fa menzione in questi Dialoghi; o ne' Principi, o Cavalieri moderni, il quale non si possa ancor prendere dalle magnanime azioni di Cosimo, e di Lorenzo de' Medici, e del Duca Lorenzo, e del Duca Giuliano, e del Signor Giovanni, e ultimamente del Serenissimo Gran Duca Cosimo, e di questo, che gli è succeduto così nella felicità, come nella virtù; e degli altri Illustrissimi Fratelli, e particolarmente del Cardinale, ch'è un de' primi splendori della Corte Romana, e una delle più salde colonne dell' ecclestastica dignità. E perchè a bastanza abbiam parlato della Nobiltà Eroica, e Reale, in quel modo, che se ne poteva discorrer con filosofiche ragioni, e con l'autorità de' Platonici, e de' Peripatetici, non è tempo di ritrattar nell' istesso modo questa materia oscura per l'incertitudine delle cose, ma d'illustrarla col lume certissimo della verità; però scegliendo fra tutte l'opinioni quella, che più le s'avvicina, cioè, che la Nobiltà sia una similitudine secondo la vera giustizia, come pare a Plutarco, se per vera giustizia intendiamo alcuno abito de' costumi assai è vero quel, che fu scritto nel Dialogo, per riprovarla. Ma se vogliamo intender non l'umana giustizia, nè altra virtù civile, ma l'esemplare, ch'è nella mente d' Iddio; molto lodevole fu l'opinione di quel Filosofo, e quasi ombra e figura della verità, la qual c' è insegnata dal Greco Teologo, che parlando della vera Nobiltà disse, ch'ella è conservazione dell' imagine, e configurazione dell' esemplare; nè d'altra imagine dobbiamo intendere, che di quella dell'anima, perch'ella è divisa in tre polenze, nell' intelletto, nella volontà, e nella memoria, nelle quali è figurato, e quasi impresso il vestigio della Santissima Trinità. E se di questa intendiamo, chi meglio la conserva del Cardinal

da Este liberalissimo, e religiosissimo Signore? o pur di quel de' Medici, ch'abbiam già nominato? del Gonzaga, il cui nome troppo tardi si legge fra gli altri? o di voi medesimo, che di eguale onore sete meritevole? o del Padre Generale vostro fratello, che può accrescere dignità alle dignità medesime? o del Signor Claudio, ch'è un dei principali ornamenti del Vaticano? E certo l'anime di tutti i buoni e religiosi son molto più lucide, e molto più nobili deʼraggi del Sole; e solo inferiori agli Angeli, che sono specchio di luce inintelligibile. Però leggiamo nelle Sacre Lettere, che Iddio ha fatto l'uomo poco minore degli Angeli, a' quali diede la volontà, che non è affatto immobile al male, ma difficilmente è mobile, perchè si mosse quella di Lucifero, ch' essendo per la sua bellezza apportator di luce, divenne caligine per la superbia, e in questa maniera perdè la sua prima nobiltà ; e in questo modo la perdono gli uomini, i quali corrompono l' imagine. Nobile dunque veramente è colui, il quale conforma all' esempio quello, che procede dalla virtù; e da poi che l'ha conseguito, il custodisce. Ma ignobile è quell' altro, ch' il confonde con la malizia, e invoca un' altra forma, cioè quella del Serpente. E questo basti in quanto alla vera nobiltà dell' uomo, o dell' anima ragionevole; perciocchè l'altra, la quale si scolpisce nelle statuè, o è seminata nella generazione, è quasi falsa nobiltà, e in comparazione della prima non è di prezzo alcuno; onde non debbiamo insuperbire de' sepolcri dei maggiori, nè de' simulacri, che vi sono scolpiti, e molto meno delle favole, che sogliono raccontarsi per accrescr la fama de' trapassati. Ma c'è ancora la nobiltà del genere, il quale è di tre sorti, come dice l'istesso San Gregorio Nazianzeno: il primo è quello, che deriva dal Cielo, per lo quale tutti siamo egualmente nobili, perchè tutti siam fatti ad imagine d' Iddio ; l' altro è quello che prende origine dalla carne; quantunque essendo soggetto alla corruzione, io non so, se per lui alcuno possa chiamarsi nobile veramente; il terzo ha principio dalla malizia, e dalla virtù, della quale participiamo più, o meno, secondo che più, o meno conserviamo l'imagine,

o la corrompiamo. E ciascuno, ch'è veramente Filosofo, come è V. S. Illustrissima, amerà questa nobiltà, e ne farà grandissima stima. Si potrebbe ancora aggiungere il quarto genere, che si prende dalla scrittura, nel quale l'arte è imitatrice della natura; e la prudenza degli uomini dovrebbe imitar la providenza d' Iddio, acciocchè la scimia non s'immascherasse con l'imagine del leone; ma fosse onorata la fede, e la pietà de' soggetti, con la dignità, e con lo splendore de' Principi: ma voi sete Principe, e doppiamente nobile per la virtù, e per lo nascimento: tutta volta non vi gloriate in terra di quel, ch'è terra, quantunque Dante se ne gloriasse in Cielo, gridando,

la

O poca nostra nobiltà di sangue:

mav' adornate di quel, ch'è celeste, e cercate di pur gar parte divina da questo fango della nostra umanità: e opponendovi la splendida azione, tutto sete illustre, e luminoso; e tutto risplendete de'raggi della vostra virtù; laonde ella potrebbe far luce alle tenebre dell'antichità, se dalla gloria de'vostri antecessori non fosse illuminata, come dimostrano chiaramente non solo l'arme, e gli scettri, ma le mitre, e i cappelli purpurei, che furono testimonj della nobiltà, e ornamento della religione. Ma il fango dal fango ancora in qualche modo è differente; pur questa non è occasione di lodarvi, ma di pregarvi, ch'umanamente accettiate il Dialogo dell'umana Nobiltà, della terrena, se così volete chiamarla, il quale sottopongo al giudizio di yostra Signoria Reverendissima, che può dirittamente giudicarne, e senza animosità, quantunque ragioni particolarmente della sua nobilissima stirpe; e le bacio le mani.

Di V. S. Illustriss. e Reverendiss.

Servitore TORQUATO TASSO.

OVVERO

DELLA NOBILTÀ

DIALOGO

ARGOMENTO

Gr interlocutori di questo dialogo sono due de' più illustri soggetti

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che fiorissero in Torino a' tempi del Tasso. Il primo è Antonio Forno, gentiluomo Modenese, che viveva in Corte del Marchese Filippo d' Este, a cui per le sue virtù fu carissimo: ed il secondo è Agostino Bucci da Carmagnola, che era primario lettore di filosofia nell' Università Piemontese, uomo assai dotto è di tanta pratica ne' pubblici negozj, che da' Duchi di Savoia fu più volte adoperato in importanti ambascerie. Di questo loro colloquio è argomento la Nobiltà: ed ecco ciò che dopo un' artificiosissima introduzione viensi in esso trattando. Cercasi prima se in natura è nobiltà: e provato che ella trovasi per tutti i gradi dell'essere, si entra a investigare quel ch'ella sia e si conchiude che è la perfezione della forma operante. Parlasi appresso della nobiltà particolare dell' uomo: si esamina l'opinione di Aristotile intorno ad essa e si fa conoscere che il nome proprio di questa nobiltà è quello di gentilezza. Toccate poscia alcune cose dell'origine della voce nobile, si viene a definire la gentilezza dicendo che è virtù di schiatta onorata per antica e continuata chiarezza. Si passa quindi a considerare ciascuna delle parole che entrano in questa definizione e cominciando dalla prima, si mostra come la nobiltà è virtù naturale, virtù, cioè, che l' uomo ha dalla natura, e che alla virtù de' costumi è contrapposta. Si fa poi quistione se i discendenti da' tiranni possano fra' nobili annoverarsi, e si afferma che della gentilezza non essendo fondamento la virtù morale, ove ne' tiranni non manchi la virtù di natura, anche la loro posterità è nobile. Trattasi dopo del valore e della virtù eroica: e si difende Virgilio dalla censura fattagli per alcuni di avere rappresentato Enea inesorabile a' prieghi di Turno che vinto gli chiede in dono la vita; e Turno per lo contrario, fino a quel punto prode ed ardito, preso allora da viltà a segno di supplicare per essa ad Enea. Tornando quindi all' argomento, si stabiliscono tre maniere di nobiltà: la prima eroica, la seconda regia, la terza civile; e fra quest' ultime due si pone quasi mista la nobiltà de' gentiluomini di Repubblica. Prendesi susseguentemente ad osservare ciò che nella data definizione importi la voce schiatta: e si dichiara che circa alla stirpe deesi aver riguardo tanto al luogo ed alla patria di

essa, quanto all' orrevolezza dell' uno e dell' altro de' genitori. Ragionasi oppresso delle parole onorata per antica e continuata chiarezza, ed a bene spiegarle si recano le definizioni dell' onore, della laude, della fama e della gloria, cose tutte che concorrono a formare la natura della nobiltà, e a darle chiarezza. Cercasi poi se la nobiltà maggiormente dipenda dalle virtù morali, o da quelle dell'intelletto, e si mostra che più dalle prime che dalle seconde deriva, sì perchè maggiore è il beneficio che da quelle si riceve, che da queste, e sì ancora perchè, se la nobiltà è virtù di schiatta, ella sarà maggiormente in quella parte che noi per ischiatta ereditiamo, e più sarà nel corpo e nell' anima sensitiva e nell' appetito del senso che nella mente. Considerate così le parole di virtù, di schiatta, di onore e di chiarezza, entrasi a discorrere delle due altre antica e continuata. Per ciò che spetta alla prima si osserva che è necessaria l'antichità alla gentilezza, essendochè questa tanto è più orrevole e gloriosa, quanto è più antica. Çirca poi la seconda si fa conoscere che alla nobiltà è in tanto necessaria la continuazione, in quanto che senza di lei viene pur quella a mancare. Dopo tuttociò si porta il discorso intorno ai titoli, e si dà di ciascuno di essi particolare notizia. Si passa per ultimo a paragonare la riferita definizione della gentilezza con quelle date dal Possevino, dall' Imperador Federico, da' Socratici e da Bartolo: e si pon fine al presente preparando la materia per un nuovo ragionamento.

INTERLOCUTORI

ANTONIO FORNO, AGOSTINO BUCCI

ANTONIO. Intempestivo incontro, importuno ragionamento, nojosa presenza. Iddio la faccia così infelice, com'ella ha fatto me mal contento.

AGOSTINO. Che ragiona fra se stesso il Sig. Antonio, e perchè si mostra così turbato nell'aspetto?

ANTONIO. Oh! Signor Agostino, siete voi? come a tempo sopraggiungete; e come mi è grato d'avvenirmi in persona, colla quale io possa in alcuna parte temprar la noja, che m'ha dato l'importunità di una donna.

AGOSTINO. Nulla di nuovo mi raccontate, che le donne colla loro importunità sien nojose; ma specificate le vostre noje.

ANTONIO. Nojose sono alcune di esse altrettanto, quanto alcun' altre piacevoli; ma questa mia turbatrice è stata la noja istessa.

AGOSTINO. Chi è ella, e di che v' ha cotanto offeso?

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