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chè questa nobiltà, che voi fate così rara, è comunissima equalità, che si distende per tutti i gradi di quello, che i Filosofi chiamano Ente, ponendo in tutti i generi, ed in tutte le specie distinzione di perfezione, e d'imperfezione. E cominciando da Iddio, il quale a tutte le cose comparte l'essere, ad alcune più chiaramente, ad alcune meno, egli è nobilissimo, e contiene in sè la nobiltà ed ogni altra perfezione, in un modo sovrano o come voi altri dite, eminente; ed in quel modo, che fa le creature partecipi dell'essere, le fa partecipi della nobiltà. Conciossiacosachè fra gli ordini degli Angioli, alcuni ve ne siano più nobili, alcuni manco; e fra i corpi celesti, alcuni più, alcuni meno partecipano della nobiltà; e questa nobiltà scendendo dal mondo superiore nell' inferiore, si trova nelle creature corruttibili eziandio. Perciocchè non solo l'uomo, il quale è dotato di anima ragionevole, ed immortale, è animale nobilissimo, ma fra' bruti con differenza di nobiltà, e di viltà, son separati il leone, l'elefante e il cavallo, dalla lepre, dalla volpe e dall'asino: e son separati gli animali, che si muovono da luogo, a luogo, da quelli, che raccogliendosi, e distendendosi, si spingono innanzi; e quelli, che hanno tutti i sensi, da quelli, che d'alcuni di essi son privati. E fra le piante, e fra l'erbe alcuna ne diremo più nobile, alcuna meno: e fra le pietre, e fra i metalli troveremo questa medesima distinzione; e la troveremo fra' misti, e fra gli elementi. E risolvendo gli Elementi ne' lor principj, diremo la forma esser cosa nobilissima molto, ed ignobilissima la materia, anzi esser quasi l'ignobilità stessa, perchè per se medesima è poco meno, che nulla; ed in quella guisa che femmina vile cerca di nobilitarsi per matrimonio, desidera cupidamente il congiungimento delle forme, per farsi bella, e gentile, nè si empie mai tanto il suo infinito desiderio, che non le resti sempre inclinazione a nuovi abbracciamenti; così discendendo per tutta la lunghezza di quel ch'è dal sovrano all'infimo, dal perfettissimo all' imperfettissimo, conosceremo questa distinzione non solo in un genere a paragone dell'altro, ma le specie, dalle specie, e gl'individui dagl' individui verremo per nobiltà separando. E trapassando dalle cose naturali alle artificia

li, e civili, fra le scienze la troveremo, e fra l'arti, e fra i Principati, e le Repubbliche. Perciocchè fra le scienze nobilissima diremo essere la Metafisica, e fra le arti la militare, e fra i Principati il governo di un solo. Questa nobiltà dunque, che pur dianzi quasi invisibile mi si ascondeva, ora per tutto mi si dimostra, e dove non è, veggio il contrario suo, o piuttosto la privazione di essa. Sicchè niuna cosa mi si appresenta creata da Dio, niuna generata dalla natura, niuna immaginata dall' ingegno, niuna fatta dall'arte, in cui questa comunissima contrarietà di nobile, e d'ignobile non si manifesti. Ma ella m'appare in tanti aspetti, e in sì diversi abiti, che io la conosco in quel modo, che nel Carnevale noi soggetti del Serenissimo Duca di Ferrara conosciamo per lungo uso i mascherati al portamiento, ed agli atti, tutto che cangino abiti, e maschere assai sovente. Ma quanto sia incerto questo conoscimento, voi il vedete, poichè alla cognizione delle larve è da me assomigliata.

AGOSTINO. Voi mi vi scoprite appoco appoco anzi filosofo, che cortigiano; e se pure cortigiano, nobile cortigiano.

ANTONIO. Non crediate per dio, che io abbia appreso quel che io dico nell' Accademia, o nel Liceo; ma avendo molto udito ragionare ed alla tavola del Sig. Principe, ed altrove, ho fatta preziosa conserva delle cose più care, delle quali sono peravventura più ricco, che io medesimo non istimo, come colui, che non molto spesso vo rivolgendo per la mente quel, che io vi abbia riposto. Ma come vuol mia fortuna, alcuna fiata mi si fanno incontra, che io medesimo non le ricerco; e siccome volendo io cominciare il ragionamento, di poche cose mi ricordo, così svegliato dagli altrui detti, di moltissimne mi rammento.

AGOSTINO. Se crediamo ad Aristotele, chi ha debol memoria, e pronta reminiscenza, è di buono ingegno; perchè il rammemorarsi non è senza alcun discorso, e il discor rere è opera dell'intelletto; ove la conservazione de'fantasmi, o delle immagini, che vogliamo chiamarle, è nella parte sensitiva. Ma voi non solo avete riposte le cose udite, ma per quel che a me ne paia, l'avete riposte, e le Dialoghi T. 11.

3.

cate le ciglia alle mie parole; se poteste guardarmi nel cuore, e vedere quale agitazione di affetti v'abbia cagionato una semplice vista di una fanciulla, son sicuro che mostrereste prima nel volto alcuni segni di stupore, e poi raccogliendovi in voi stesso, in quella guisa, che gli antichi Filosofi maravigliando cominciarono a filosofare, dalla maraviglia sareste mosso a spiar più particolarmente le cagioni di questi miei effetti amorosi.

AGOSTINO. La vista dunque di un' amorosa fanciulla è cagione del vostro turbamento: pur mi pare strano ch'egli di maniera si mostri nel volto, che non si possa conoscere, se vi rechi segni maggiori di sdegno, o di malinconia; se altro peravventura non è seguito dopo i principj di questo vostro, non so se io lo mi chiami compiacimento, od amore; ma chiunque si sia, convenevol certo a' vostri anni giovenili.

ANTONIO. Altro è seguito pur troppo, mentre io seguiva lei.

AGOSTINO. E che?

ANTONIO. Io la seguiva così da lunge, volendo insieme vedere, in qual contrada, e in quale strada ella abitasse, e non dare altrui indizio manifesto di questo mio segui

mento.

AGOSTINO. Accorto amatore!

ANTONIO. Ma mentre io la seguo, m'attraversa la strada (non so di quale Inferno uscita) una gentildonna mia conoscente, accompagnata da una greggia di serve, e di donzelle.

AGOSTINO. Se usciva d' Inferno, non dovea esser Angiolo.

ANTONIO. Non per certo, che peravventura altro non avea d'Angiolo, che l'età.

no,

AGOSTINO. Ben si pare che siete pratico nel cortigiapur dovea a'suoi di essere stata bella.

ANTONIO. Dicesi, ma non appare vestigio. Ora costei con molte importune richieste mi trattenne tanto, che io perdei la traccia della bella fera, che io seguiva; e quel che più mi accora è, che io accorgendomi di perderla, lasciai che il desiderio in me fosse vinto dal rispetto.

AGOSTINO. Dunque l'affetto diè luogo alla ragione? ANTONIO. No certo, che non era ragionevole, che la nobiltà di una vecchia più potesse in me, che la beltà di una giovane.

AGOSTINO. E che sapete voi che l'antica donna non fosse più bella della giovane; o qual certezza avete di questo?

ANTONIO. Quella, della quale non si può ricever testimonio più certo, senza meritar gastigo: perciocchè, chi riprova i giudicj del senso, è, come disse quel vostro, degno della pena del senso.

AGOSTINO. E pur la ragione riprova sovente i giudicj del senso.

ANTONIO. Sì, ma in quelle cose, che propriamente non sono soggetto del sentimento, e che essendo sottoposte a varj sentimenti, diversamente da loro intorno ad esse è giudicato.

AGOSTINO. Tale è la beltà, perciocchè di essa fa giudizio non solo l'occhio, e l'orecchio, ma l'intelletto eziandio. E siccome nelle liti civili, quando da varj Giudici variamente è stato sentenziato, si ricorre al sovrano Giudice, che dia determinata sentenza, e da questo, se egli è ingiusto, al Principe si fa ricorso; così ne' dubbj della natura, ove l'un senso dall'altro discordi, all' interno, e sovrano senso si ricorre, e talora da questo a quella Regina, che tenendo la miglior parte di nostra natura, fa de' sensi, e di ciò, che lor pare, quel giudizio assoluto, che fa il Re de' servi, e delle loro opinioni. Credo dunque che voi possiate esservi ingannato, ma che nondimeno non meritiate pena di senso, e la mia credenza è fondata sopra le vostre parole istesse. Perciocchè voi già mi avete confessato che delle due donne vedute da voi, l'una è nobile, l'altra di condizione incerta, o almeno incerta a voi. Or s'ella è nobile, è virtuosa, perchè la nobiltà (come dell' amicizia disse il maestro di color, che sanno) o è virtù, o non è senza virtù e dov'è virtù, è bontà; e dov'è bontà, è bellezza; sicchè nobile non può essere, che bella non sia.

:

ANTONIO. Voi mi fate violenza, e mi rapite quasi a forza dalla Corte all' Accademia, ove io non entrai giammai.

Piacciavi dunque come cortigiano con cortigiano, o pure come Filosofo con cortigiano, di favellare; e se pur mi volete condurre fra' Platonici, non mi ci guidate per altra strada, che per le scuole de' vostri Peripatetici, i quali (parlo degli antichi, e de' buoni) in guisa parlano di quelle cose, che agli uomini civili appartengono, che dagli uomini civili sono intesi, quando essi non siano affato rozzi,

materiali; che già vi dee calere, se i Filosofi del primo motore, e della prima materia ragionando, dicano cose, che non possono esser raccolte entro la nostra capacità : purchè parlino o d'amore, o di amicizia, o di virtù, o di nobiltà, ed in maniera, che i loro discorsi sieno accomodati all'opinione, o almeno all'intelligenza comune.

AGOSTINO. Se volete, che io mi accomodi al vostro intendere, è di mestiere, acciocchè io più facilmente possa ciò fare, che mi significhiate qual sia la vostra opinione intorno alla bellezza, ed all'amore.

ANTONIO. La mia opinione nasce dal senso, e finisce nel

'senso.

AGOSTINO. Non vi spiaccia distinguer meglio quel, che sentite, acciocchè io possa adattare le prove e le ragioni al vostro sentimento.

ANTONIO. Io credo che la bellezza sia la cagione dell'amore, e l'amore l'effetto della bellezza, e questa mia credenza serve a me per iscienza, riserbandomi ad apprenderne quel di più, che basta per renderla perfetta, dalla lingua, e dagli occhi della mia donna: sicchè non desidero che per insegnarmi amore lungamente vi affatichiate. Ben avrei caro apparare da voi quel, che sia questa così stimata nobiltà; la quale essendo ( per quel che io ne stimi) un nome vano senza soggetto, ha potuto nondimeno più in me col suo freno, che la bellezza col suo sprone.

AGOSTINO. Voi, nato di sì nobil sangue, osate dire che la nobiltà sia nulla?

ANTONIO. Io parlo a caso: ma questa credenza può essere in me generata dal seme delle vostre parole.

AGOSTINO. E da quali mie parole?

ANTONIO. Diceste poc' anzi che la nobiltà, o è virtù,

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