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INTERLOCUTORI

FORESTIERO NAPOLETANO, F. LAMPUGNANO, A. N.
P. GUIDICCIONI, F. MICHELI.

FORESTIERO. Poichè voi siete stato presente, Sig. Lanı

pugnano, al ragionamento, ch' ebbe il Sig. A. N. col Sig. P. Guidiccioni, e col Sig. F. Micheli nel territorio di Lucca, mentre il Sig. Marchese d'Este v'era a' Bagni; vi prego che distintamente mel raccontiate; perchè io sono altrettanto desideroso d'udire quel, che fu discorso tra quegli eccellenti ingegni, quanto sarei stato di vedere la bellezza di quel felice paese.

LAMPUGNANO. Noi eravamo un giorno in una piacevole montagnetta, la quale vagheggia il Serchio, assai pensieriosi per la lontananza di Turino, la quale ormai ci cominciava a rincrescere: ma più di tutti gli altri il Signor A. N. pareva da' pensieri angosciato, il quale sedeva sotto alcuni alberi, che ricoprivano coll'ombra una bella fontana, intorno alla quale alcuni tronchi facevano bastevoli seggi a coloro, che stanchi dal camminare vi capitavano. E si trovavano con esso noi il Sig. P. Guidiccioni, e il Sig. F. Micheli, i quali con tutti avevano presa stretta dimestichezza, e particolarmente col Sig. A. N., ed erano per li meriti loro assai stimati dal Sig. Marchese, che n'è buon conoscitore. Allora il Sig. F. Micheli, rivoltosi al Sig. A. N. disse: dove ora tenete fermi gli occhi e il pensiero così fissa

mente?

A. N. Io riguardava questi alberi, e riguardandoli m'avveniva quel, che prima avvenne al Petrarca, mentre camminava per luoghi inospiti e selvaggi; perciocchè io avea negli occhi la mia donna, e mi pareva di veder seco donne e donzelle, e sono abeti e faggi; e se peravventura rivolgo gli occhi, o nelle nubi del cielo, o nell'acque del Serchio, il mio pensiero me l'adombra nell' istessa maniera: nè solamente questi miracoli m'avvengono, ma alcuni altri simili a quello, del quale egli ragiona in quei

versi:

Ei duo' mi trasformaro in quel, ch' io sono,
Facendomi d'uom vivo un lauro verde,

Che per fredda stagion foglia non perde. Perocchè m' immaginava di vederla in riva non del Peneo ma d'un più altero fiume in compagnia d'Amore, il quale non si allontana da lei pure un passo. E mentre intentamente mi pareva di rimirarla, non so come io mi sentia tutto in lei trasformato. Laonde udìa co’suoi orecchi, vedea con gli occhi suoi, e pensava co' suoi pensieri, e co' suoi desiderj desiderava quello, ch'ella mostra di desiderare; i tormenti, dico, e le pene mie, le quali temeva solo che non fossero troppo brevi, e che non fornissero colla mia vita. Però avrei voluto che, siccome l'amore è infinito, così elle non avessero meta, o termine alcuno : ma pur io piangeva colle mie lagrime, e non colle sue, perciocchè io non vedeva in lei alcuna compassione del mio male, nè alcun segno di pianto in quegli occhi, i quali con una stilla sola sparsa da loro avrebbono potuto temperare mille fiamme amorose: ma piuttosto mi pareva di vederla sorridere, mentre in una grande, e lieta festa ballava con alcuni leggiadri Cavalieri, e con loro ragionava. Ed io era intanto così in lei trasformato, che così mi piaceva d'andarmi tra le mie miserie avvolgendo; e così m'erano cari i favori, i quali ella faceva a que' giovani Cavalieri, com'era a lei medesima di farli; laonde quantunque fosse stato in mio potere d'impedirla, che non gli facesse, non le avrei dato impedimento alcuno.

GUIDICCIONI. Gran trasmutazione è questa vostra; e'se voi siete così trasfigurato nella vostra donna, come voi dite, non è maraviglia ch'ella non abbia compassione del vostro male; anzi impossibil sarebbe ch'ella l'avesse .

A. N. E perchè impossibile?

GUIDICCIONI. Perch'essendo in lei trasformato, siete divenuto quel, ch' ella è; dimanierachè tutto quello, ch'era vostro, è fatto suo.

A. N. Si veramente.

GUIDICCIONI. Dunque il vostro male ancora è diventato suo, perchè la compassione, o la misericordia, che vogliam dirla, è con dolor del male altrui; non può averla di

il

quel, che fu vostro, lo quale ora è suo. E se Amasi, quale aveva lagrimato della sciagura dell'amico, non pianse della morte del figliuolo, come di cosa, che troppo l'accorava: per questa istessa cagione io stimo che non pianga del vostro dolore, quantunque vero fosse quello che di vedere v'immaginate; e peravventura il riso, che in lei vi parve di rimirare, fu simile a quel d'Annibale, il quale Rise fra gente lagrimosa, e mesta,

Per isfogare il suo acerbo despitto;

perchè, essendo ella dolorosa per la vostra partita, dee per onor suo celar questa passione sotto il contrario manto.

A. N. Io confesso che questo potesse così avvenire, come voi narrate, se non fosse, che non solo io sono stato rapito dalla iminaginazione in modo che io l'ho veduta, e udita quasi presente: ma ancora, come ho detto, mi sono in lei trasformato, e co' suoi pensieri, e co' suoi affetti medesimi ho consentito al mio male: però s'ella non ha pietà, non avviene per la ragione, che voi dite, la quale mi par piuttosto ingegnosa, che vera. Laonde io pregherò il Sig. F. Micheli, che molto meglio saprà rispondere alle vostre ragioni, che prenda sovra di sè questa parte di risposta, o di difesa, la quale ad un addolorato, come io, è troppo grave: ed egli, sottentrando al mio peso, mostrerà quella compassione di me, la quale sin' ora non ho potuto né vedere, nè immaginare nella mia donna.

MICHELI. Quantunque io creda che voi siate così forte Cavaliero, che non vi lasciate facilmente vincere, nè stancare dal dolore; nondimeno poichè a voi così piace, io ne discorrerò in vostra vece col Sig. P. Guidiccioni, e lasciando star da parte questa vostra amorosa trasformazione; perocchè qual' ella sia, mi pare che dopo debba esser considerata; chiedo al Sig. P. Guidiccioni, s' egli stima che la compassione sia un affetto simile all'ira, allo sdegno, ed alla paura, l'oggetto de' quali è fuor di noi in guisa, che l'appetito del senso seguendolo si muove verso lui, o fuggendolo cerca d'allontanarsene.

GUIDICCIONI. In ciò veramente sono assai simili.

MICHELI. Nondimeno pare che l'oggetto sia qualche volta in noi stessi, perchè alcuno si sdegna non solo con

gli altri, ma con se medesimo; laonde to sdegno allora si ritorce, e però si legge :

L'animo mio per disdegnoso gusto,
Credendo col morir fuggir disdegno,

Ingiusto fece me contra me giusto.

GUIDICCIONI. Questo mi par che non si possa negare. MICHELI. Ed alcuno parimente s'adira con se medesimo, come fece Aiace in molti, e poi in se stesso forte, o furioso piuttosto.

GUIDICCIONI. Parimente.

MICHELI. Ed in questo modo altri ha paura di se medesimo, come si legge in quel luogo:

Tal cordoglio, e paura ho di me stesso.

GUIDICCIONI. Così credo.

MICHELI. Dunque in questo modo ancora alcun potrà aver compassione di se stesso, e l'ebbe quel Poeta, il qual di sè parlando disse:

E m'incresce di me sì malamente,

Ch' altrettanto di doglia

Mi reca la pietà, quanto il martire.

E quell'altro, il quale scrisse :

Una pietà si forte di me stesso.

Ma qual sia questo modo, possiamo andar considerando. GUIDICCIONI. Come vi piace.

MICHELI. Credete voi, che l' uomo sia uno semplicemente, o un composto di molte parti, e di molte potenze? GUIDICCIONI. Un composto, senza dubbio.

MICHELI. Ciascuna delle quali è diversa dall'altra?
GUIDICCIONI. Si veramente.

MICHELI. Dunque non è sconvenevole che l'una si sdegni contra l'altra, e che s'adiri, e che tema similmente: perocchè la parte irascibile s'adira, e si sdegna contra la concupiscibile, e la concupiscibile teme l'irascibile; e l'una e l'altra, la ragione; la quale ha il freno, e la verga, colla quale le castiga, e le corregge.

GUIDICCIONI. Così suole avvenire negli animi ben com

posti.

MICHELI. Dunque in questa stessa guisa è convenevole che l'una parte abbia compassione dell' altra, e quantun

que questa compassione sia dolore del male altrui, perocchè ella è del male d'una potenza diversa; tuttavolta, perchè l'uomo ha in se medesimo tutte queste potenze, si può dire che la compassione sia di se stesso, come lo sdegno, e l'ira, e la paura. E se questo è, come abbiamo conchiuso, potendo l'uomo aver compassione di se stesso, maggiormente può averla la donna anata, quantunque in lei sia trasformato; laonde io ho gran pietà di questo Cavaliero, se, come egli dice, non glien'è avuta alcuna dalla sua donna. Ma potrebbe essere ch' egli peravventura s'ingannasse; però ricerchiamo che sia questa compassione, ch'egli desidera che gli sia portata, acciocchè ben conoscendola non la prendiamo in iscambio: e se vi piace, non col Signor P. Guidiccioni, ma con voi, Signor A. N. n'andrò ricercando. Ditemi dunque, desiderate ch'ella v'abbia convenevole, o disconvenevole compassione?

A. N. Convenevole.

MICHELI. E se sarà convenevole, sarà giusta, perchè niuna cosa è convenevole, ch' ingiusta sia.

A. N. Così è veramente.

FORESTIERO. Ma s'ella è giusta, diremo ch' ella partecipi della giustizia, o pur ch'ella sia giusta per se stessa ? A. N. Nell' uno, e nell'altro modo.

MICHELI. Dunque due saranno tra se differenti; l'una giusta per se stessa, e l'altra giusta per participazione. A. N. Così credo.

MICHELI. Ma la compassione non è ella talvolta ingiusta, come fu quella, della quale parlò Dante nell' Inferno ? Chi è più scellerato di colui,

Ch' al giudizio divin passion porta?

A. N. Così stimo.

MICHELI. E pare, che sempre sia giusta la compassione, la qual si porta a coloro, i quali son condannati dal giudizio degli uomini; perchè quantunque per altro fossero scellerati, mentre sono di qua, veggiono aperte le braccia della divina Bontà, la quale le ha così grandi,

Che prende ciò che si rivolve a lei.

Ma di coloro, che dal giudizio d' Iddio sono condannati, è ingiusta.

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