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traete fuori a tempo, e con ordine; e l'ordinare è operazione di persona intendente, siccome il conoscere il tempo è cosa di uomo prudente. Ed ora io mi accorgo che ordinatamente dubitando procedete: perciocchè è precetto dei maestri del sapere, che prima si cerchi, se la cosa, di cui si ha da trattare, sia, o no, e poi quel che ella sia; e voi anzi avete chiamato in dubbio, se la nobiltà si trovi, che ricercato quel che ella sia,

ANTONIO. Voi col vostro artificio farete parere artificioso il mio dubitare, il quale è stato mosso da caso, o da natura: ma è uffizio dell'arte trovar l'arte, ov'ella non è.

AGOSTINO, lo lascerò che la vostra natura guidi il mio artificio; perchè ben è ragione, che l'arte dalla natura sia guidata. E se è vero quel che si legge nel Mennone di Platone che l'uomo, ben dimandando, trae il vero dalla risposta di ogni persona quantunque indotta, sarà laude del vostro ingegno, che con opportune, ed ordinate dimande tragga da me alcuna verace conclusione intorno a quello, di che si favella, Chiedete dunque, che io sono apparecchiato a rispondervi

ANTONIO. Poichè è certo che la nobiltà sia, vedendosi in tutte le cose essa, o il suo contrario: desidererei di sapere, se in tutte è la medesima, e se si può sotto un genere ridurre, e dar di lei una sola definizione, che la natura, e essenza sua intieramente ci manifesti.

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AGOSTINO. Se mi rammento, conminciammo a ragionare della bellezza, e passammo alla nobiltà; ora non vi spiaccia, che io cerchi nella bellezza quel, che trovato c' insegnerà facilmente a sciogliere il dubbio, che ora movete. Voi che tanto avete udito filosoficamente parlare, e si bene ve ne ranımentate, non udiste alcuna volta dire, che il bene è proprietà dell' essere ?

ANTONIO, Hollo udito.

AGOSTINO. Dovete ancora avere udito che il bello si converte col bene.

ANTONIO. E questo ancora,

AGOSTINO. Dunque il Creatore è bello, e tutte le creature, in quanto elle sono, son belle, e bella è la natura, e belle sono onde dottamente cantò il Toscano Poeta:

יך

opere sue,

Tutte le cose, di che 'l mondo è adorno,
Buone usciron di man del Mastro eterno,
Ma me, che così addentro non discerno,

Abbaglia il bel, che mi si mostra intorno. L'arte parimente, che alla natura cerca di assomigliarsi, ritrae, ed esprime questa bellezza ne'suoi magisterj quanto ella può. Or darebbevi il cuore di definire la bellezza, che bene stesse ?

ANTONIO. Parmi di poterlo fare, quasi colle parole di Dante, dette da lui in altro proposito ..

AGOSTINO. E quali son queste parole?

ANTONIO. Quelle, onde comincia il primo canto del Paradiso :

La gloria di colui, che tutto move,
Per l'universo penetra, e risplende,
In una parte più, e meno altrove.

Nel ciel, che più della sua luce prende.

:

AGOSTINO E che raccogliete voi da queste parole? ANTONIO. Raccolgo che la bellezza sia luce della Divinità, che risplende negli enti.

AGOSTINO. Voi non vi dilungate dalla definizione, che ne danno i Platonici, i quali la definiscono raggio, e splendore della Divinità: ma non vi accorgete quanto questa definizione imperfettamente dichiari la natura della beltà. ANTONIO. No veramente.

AGOSTINO. Ora ditemi; vi darebbe il cuore di definire la bellezza dell'uomo?

ANTONIO. Io direi che la bellezza umana fosse proporzione di membra convenevolmente grandi, con vaghezza di colori, e con grazia.

AGOSTINO. E la bellezza dell' orazione, che direste che fosse?

ANTONIO. Direi che fosse virtù di persuadere, con sentenze, e con parole ornate; dilettando, movendo, insegnando.

AGOSTINO. Ora donde avviene che nelle definizioni delle bellezze particolari, non vi servite di quella parola luce, o splendore, della quale vi siete servito come di genere nella definizione universale? Oltrediciò vi chiederei, se

ne' corpi opachi vi può esser bellezza, e se vi può essere, com'è, che la luce sia genere della bellezza? E se volete dire che la bellezza dell'uomo sia il lampeggiare del riso, o il lume degli occhi, o lo splendore della grazia, come pare che si raccolga da' Poeti, e la bellezza dell'orazione sia lo splendore delle sentenze, e il lume dell' elocuzione; non vi accorgete, che date un nome medesimo a cose per natura diverse? Vi dovreste anco avvedere che a' corpi opachi non si convien questo nome di luminoso, o di splendido, se non meno, che propriamente parlando. Sicchè questo nome di luce, o di splendore, da voi posto per genere della bellezza, è nome metaforico, e di dubbia significazione; onde in modo alcuno, per differenza, che gli si aggiunga, non può intieramente dichiarare la natura della bellezza, e se voi, lasciando questo genere, ricorreste alla proporzione e la poneste per genere della bellezza, vi trovereste avvolto nelle medesime difficoltà, perciocchè non è possibile di ritrovar proporzione ne' corpi, che son formati di parti somiglianti, qual'è l'oro, o l'argento, o il marino, o l'alabastro: e molto meno si troverebbe proporzione nella luce, la quale è pur bella, e graziosa cosa a riguardare. Conchiudo dunque, che della bellezza non si possa dare universal definizione, che bene stia.

ANTONIO. Parmi, che quinci vogliate argomentare, che non si possa anche dare alcuna universale definizione della nobiltà,

AGOSTINO. Vi apponete.

ANTONIO. E perchè ciò?

AGOSTINO. Perchè le cose, che possono da una stessa definizione esser definite, si raccolgono sotto un istesso genere, ch'a tutti si accomuna, Ma fra le cose eterne, e le caduche, e mortali nulla è di comune; anzi dicono alcuni Peripatetici che questa trasparenza, che riguardiamo nel Cielo, è diversa di natura da quella, ch'è nell'acque, e nell'aria, ne si sottopone con lei ad un medesimo genere. Se dunque le qualità de' corpi sottogiacenti a corruzione, e degli eterni, non si riducono sotto un genere; quanto meno è credibile, sotto un genere possa riporsi la beltà degli Angioli, e la bellezza de' beati, o la nobiltà di Dio, e la nobiltà dell'uomo?

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ANTONIO. Mi Sovviene pure di avere udito, che Aristotele raccoglie sotto una definizione l'anima immortale, la mortale, acconiunando a ciascuna di esse il genere di forma, o di atto, che vogliam dirlo; dicendo ch'ella è forma del corpo naturale, che formato di parti dissimiglianti può vivere.

AGOSTINO. Bene udiste, e ben ve ne sovviene : ma questa definizione, sebbene è molto migliore di quella Platonica della bellezza, non è però intieramente perfetta: nondimeno è tanto quanto pativa la natura dell'anime definite, alle quali tutte non si poteva attribuire il nome di prima, perciocchè altramente il corpo dall'intelletto è informato; altramente dalla vita, e dall'anima del senso.

ANTONIO. Or proviamo noi, se nel medesimo modo possiamo definire la nobiltà universale; e quando non ci venga fatto di provar definizione simile alla Peripatetica, non ci sdegnamo di trovarla eguale alla Platonica.

AGOSTINO. Tentiamo: ecco io comincio a spiarla per quel cammino, che voi mi avete insegnato.

ANTONIO. Per quale?

AGOSTINO. Diceste, e ve ne dovete rammentare, che la nobiltà si distende per tutti i gradi dell'essere, ponendo fra loro distinzione di perfezione, e d'imperfezione. ANTONIO. Io il dissi

AGOSTINO. Ed io dico, che la nobiltà non è altro che la perfezione della forma; e se noi diciamo che l'uomo è più nobile del cavallo, non lo diciamo per altro, se non perchè è la forma più perfetta; e similmente per questa medesima differenza più nobile è il cavallo della mosca e della zanzara, ed in somma per la perfezione della forma il genere dell'altro è più nobile, e l' una dell'altra specie, e direi l'uno dell'altro individuo, se non fosse, che non può fra gl'individui esser differenza di forma specifica.

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ANTONIO, Dunque l'uno dell' altro individuo non potrà esser più nobile?

AGOSTINO. Si potrà, perciocchè la forma, siccome si riceve in materia più,o meno accomodata a raccoglierla, così opera più, o meno perfettamente. E la forma, o si considera separata dall' operazione, ed allora da' Filosofi è

chiamata atto primo, e da noi potrà esser detta forma oziosa, o scioperata: o si considera accompagnata coll' operazione, e da essi vien detto secondo, noi potremo nomarla forma operante. Ora la nobiltà è perfezione non della forma oziosa, ma della forma operante, la quale in quelle cose, che hanno materia, opera meglio, o peggio, secondo che migliore, o peggior forma ella ha sortita; onde l'uno dell'altro individuo può esser più nobile, perchè l'operazione dell'uno può esser più nobile di quella dell'altro. Raccolgo dunque, che la nobiltà universalmente definita sia la perfezione della forma operante.

ANTONIO. A me pare, che in questa definizione sia alcuno scherzo ; perciocchè la forma operante altro non è, che la perfezione delle cose: onde la voce Greca Endelechia fu interpretata da Ermolao Barbaro, eloquentissimo Filosofo, ed illustrissimo Senatore, e preclaro, perfecti habitus. Il dir dunque perfezione della forma operante, tanto mi pare che vaglia, quanto se si dicesse perfezione della perfezione.

AGOSTINO. Questa Endelechia, che da altri fu interpretata perfecti habitus; da altri con voce più accomodata agli orecchi, fu detta perpetuo movimento; essendochè non solo dà l' essere, ma anco l'operare alle cose. E perciocchè l'operazione pare che sempre sia con alcun moto, però non male fu detta movimento; ma non però tutte le cose hanno l'essere, e l'operare in quel grado stesso di perfezione. Quelle dunque, le quali in paragone dell' altre operano meno perfettamente, quelle ignobili saranno dette; e nobili quelle, che poste appo l'altre, operano con maggior perfezione. La forma dunque si può dir perfezione, paragonandola alla materia, che da lei si fa perfetta; ma paragonando l'una all' altra forma, molte fiate la meno nobile prende nome di materia o di quel che non è, come la terra si dice non essere in rispetto del fuoco; e le forme elementari si dicono materia della forma del misto. Dicendo dunque che la nobiltà sia perfezione della forma operante, non v'è alcuno scherzo nelle parole ; ma ben ci sarebbe, se tutte le forme fossero di egual perfezione. Mi giova di chiamarla piuttosto forma operante, che atto secondo,

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