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FORESTIERO. Ma dove è la moltitudine, è la differenza, perchè niuna moltitudine si trova, che non contenga in sè cose differenti, o di genere, o di specie, o di numero . MALPIGLIO. Niuna veramente.

FORESTIERO. E tanto vanno multiplicando le differenze, che al fine divengono contrarietà.

MALPIGLIO. Così stimo.

FORESTIERO. Dunque, non avendo fuggita la moltitudine, non abbiamo fuggita la contrarietà.

MALPIGLIO. Sebben mi rammento, quando entrammo in questi seni, trovammo i due contrarj dall'una parte e dall'altra, quasi per guardia, in quella maniera che Pandaro e Bitia stavano per difesa della nuova città de' Troiani.

FORESTIERO. Gran virtù dunque, e maravigliosa è quella della scienza, che stando sempre mescolata fra'contrarj, non se le appiglia alcuna contrarietà, quasi per contagio; e peravventura avendo distillate l'opinioni di molti al fuoco della ragione, ne ha fatto un olio simile a quel della peste, col quale si rimescola sicuramente fra'contrarj; e s'ella, come donna gentile e delicata, schiva sì fatte unzioni, diremo che sia piuttosto simile all'intelletto inmortale, fra le cose mortali, da cui se nulla s'apprende, non distrugge però la sua immortalità.

MALPIGLIO. Se io non m'inganno, questa è : è:

Quella donna più bella assai che'l Sole,

E più lucente, e d'altrettanta etate.

FORESTIERO. Assai bene l'avete riconosciuta nella vostra età giovanile; ma qual rimarreste, se vi apparisse colei, che nacque ad un parto medesimo? ma volendo seguirle e fuggir, quanto più si può, la moltidine e la contrarietà che insieme si contiene, fa mestieri che deponghiamo le composizioni e le divisioni, ed i varj discorsi, ed ascendiamo alla contemplazione ed al conoscimento, e quasi alla semplice vista del bene; perchè la scienza non è la somma cima della cognizione, ma sovra lei è l'intelletto; nè solamente quel che è nell'anima separato, ma quello, col quale dice Aristotele, che intendiamo i termini, il quale Ti-meo afferma che non è fatto in alcun altro, che nell' ani

ma: a questo intelletto dunque ascendendo insieme, contempleremo l'intelligibile essenza.

MALPIGLIO. Io non sono atto a si alta contemplazione, ma pur seguirò chi mi conduce.

FORESTIERO. Nel seguirlo sarà forse necessario che lasciamo i lauri ed i fonti ed i cigni, e ben mille altre maniere d'alberi e d'uccelli dipinti dalla maestrevole natura, ì quali fanno risonar le rive con dolcissima armonia, e che montiamo quasi in un altissimo poggio, per una strada, che si vede laddove questo porto si congiunge con quel di Platone, e dove ora si fabbrica quello della Concordia.

MALPIGLIO. O felice a chi è conceduto il salirvi!

FORESTIERO. Felice veramente, anzi felicissimo, perchè beatissimo è quell'intendere, dove l'intendere è toccare; lassù dunque col nostro toccheremo il divino intelletto.

MALPIGLIO. In questa guisa toccano le anime separate, o quelle che nel corpo si sciolgono dalle passioni.

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FORESTIERO. Senza fallo; ma quando noi saremo 0. piuttosto voi sarete fuggito negl'intellettuali Regni, non avremo fuggito questa moltitudine, di cui parliamo; perchè tutti son pieni d' intellettuale moltitudine, e nel mondo intelligibile ogni cosa è doppia.

MALPIGLIO. S'io vi ritroverò doppie l' immagini, e le forme delle cose, che quaggiù mi sono piaciute, nulla mi parrà d'aver perduto.

FORESTIERO. Niun maggiore acquisto si fa che quello della contemplazione, e non si potrebbe pagar prezzo eonveniente, per vedere un teatro pieno di volti che si tocchino, come fanno gli occhi nella coda del pavone, e risplendente da ciascuna parte; laonde molti per filosofare con minore impaccio, hanno lasciato le ricchezze.

MALPIGLIO. Ed altri l'ha ricercate per aiuto della filo

sofia.

FORESTIERO. Comunque sia, volendo fuggir la moltitudine, conviene che lasciamo tutti gli umani pensieri, e facciamo quella fuga che si dice da solo al solo; ma io impedito dal mondo e da me stesso, non so se potrò fare si nobil fuga; a molti è ben' ella conceduta, e non è chi gli

ritenga, che non fuggano quasi se medesimi; ma quando avranno fuggita ogni moltitudine, non avendo fuggita ogni solitudine, saranno beati?

MALPIGLIO. Questa fuga è solamente convenevole agli uomini, che voglion esser molto più che uomini, e però meno che Dii; ma noi, che non vogliamo lasciare ogni azione, dove rifuggiremo?

FORESTIERO. Rifuggite, quando che sia, dalla solitudine alla moltitudine, per giovamento della patria, e tutte le vostre fughe saranno onorate.

OVVERO

DELL' AMORE

DIALOGO

ARGOMENTO

Fr

ra il Giugno e il Luglio del 1581, Donna Marfisa d'Este, be!lissima e valorosissima principessa, che poco prima era stata sposata ad Alfonsino Cibo, allora Marchese, indi Principe di Massa e Carrara, ottenne dal Duca Alfonso suo fratello cugino, che in compagnia d' Ippolito Gianluca fosse a lei per un giorno condotto dallo Spedale di S. Anna il povero Tasso, che aveva altamente cantate le sue nozze colla bella canzone: Già il notturno sereno ec. Grandissimo sollievo trovò alla sua infelicità questo sublime intelletto in cotal breve diporto ; tanto più che avendo incontrate presso Donna Marfisa le Signore Tarquinia Molza e Ginevra Marzia, potè impiegar seco loro molte ore di quel giorno in lieti e dilettevoli ragionamenti. Non fu però minore della provata consolazione la sua rico. noscenza, la quale volle anche manifestare pubblicamente per mezzo della presente scrittura, narrando in essa un colloquio intorno all'Amore, che in quella circostanza ebbe luogo fra lui e le tre soprac cennate dame. Gli piacque oltre a ciò d'intitolarla dal nome di una di queste, cioè dalla Molza, che fu dama non meno bella, che di sottile avvedimento, ed ornata di molte lettere; e tale è di essa il contenuto. Si adducono prima le varie opinioni degli antichi circa l'amore, e ridotte quindi tutte a sei generi principuli, si dà di ciascuno di cotai generi un breve giudizio. Dall'esame poi di alcune particolari definizioni di quell' affetto si viene a comporne una nuova, in cui si ditermina ch'esso è una quiete nel piacevole. Cercasi appresso quale sia la reggia dell' amore, ed intorno a ciò pure, accennate le sentenze degli antichi, si conclude che la sua reggia è nel cuore. Di qui si passa a toccare alcuna cosa delle sue qualità, e si mostra ch' egli è quello, che ordina tutte le virtù in una bella schiera, anzi che la virtù medesima non è altro che ordine d'amo• re. Si termina finalmente facendo conoscere in qual guisa da amore sieno ordinate le virtù.

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Scrisse il Tasso questo Dialogo nel 1583, e per Monsignor Licino lo mandò poscia a Donna Marfisa. Tuttavolta non venne in luce colle stampe se non che nel 1587 per opera di Giovan Batista Licino

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