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XXXII.

Amore subito nato morire, se non è nudrito dalla speranza, nè però negarsi.

XXXIII.

Alcuno amore vivere senza speranza non più imperfetto, ma più perfetto.

XXXIV.

La riverenza dell'amante verso l'amata non iscemare per la conversazione, e crescere per ogni favore, che egli > ne riceva.

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L'amante d'ogni cosa maravigliarsi ; ma di nessuna quanto di se stesso.

XXXVI.

Veri essere i miracoli d' amore, che menzogne de' Poeti giudica il volgo, veri dico, secondo il più esatto modo di verità, cioè che l'amante divenga la cosa amata; e che gli amanti siano non due, ma uno .

XXXVII.

L'ira esser condimento d'amore.

XXXVIII.

Ciascun' amante in ogni suo stato esser adirato coll'amata, nè darsi amore senz' ira.

XXXIX.

Nessuno sdegno esser giusto negli amanti.

XL.

Lo sdegno per se stesso esser debole avversario d' amore, nè poter contra amore, se non colle forze d'amore .

ce,

XLI.

Non darsi dolore in amore, in cui non sia più il dolche l'amaro.

XLII.

Ogni cosa esser temuta dagli amanti, e quelle medesiche più sono da loro desiderate.

me ancora,

XLIII.

Nessun amante aver compassione de' mali dell' amata; e la compassione dell'amata verso l'amante non esser segno reciproco d'amore, ma piuttosto del contrario.

XLIV.

Non darsi invidia alcuna negli amanti, ma concedendo che si dia gli amanti invidiar se stessi.

XLV.

La gelosia non esser figliuola, ma sorella d'Amore, cioè non affetto nato d'amore, ma effetto nato dopo

amore.

XLVI.

La gelosia esser segno certissimo d'ardentissimo amore, ed accrescer l'amore; nè però negarsi ch'ella non distrugga l'amore.

XLVII.

La gelosia, ch'è nell'amante, se pur è difetto, esser difetto non dell'amante, ma dell'amata.

XLVIII.

Se più si meriti, o servendo, o non servendo l'amata.

XLIX.

Se più si patisca, o non ricevendo alcun premio, o ricevendolo minor del desiderio.

L.

Se più si goda, o de'furti fatti all'amata, o de' doni ricevuti da lei.

Si difenderanno tre giorni nel luogo solito dell' Accademia, sotto gli auspicij del Sig. Renato Cato, nostro Principe.

САТА NEO

OVVERO

DELLE CONCLUSIONI

DIALOGO

INTERLOCUTORI

DANESE CATANEO, PAOLO SAMMINIATO,
TORQUATO TASSO.

CATANEO. Voi ancora, Signor Torquato, non contento di aver acquistato in questa giovanile età grandissima lode nella Poesia, avete voluto nelle Quistioni filosofiche contender co' Filosofi medesimi, e per quel ch'io ne intesi dal Signor Paolo, molti giorni difendeste pubblicamente alcune Conclusioni, nella qual' azione, io stimo ch'esponeste la vostra riputazione a gran pericolo, potendo di leggieri un frate, o uno scolare, coll'armi dialettiche astringer un pocta a cedergli il campo.

SAMMINIATO. Se il campo fosse quel della verità, non malagevolmente il poeta sarebbe vinto dagli avversarj: ma nel campo d'Amore, chi poteva superare un poeta innamorato, e con quali armi? sedendo ivi fra gli altri quasi giudice, la sua donna medesima, dalla quale poteva assai cortesemente riportar la palma nell'amorose quistioni.

TASSO. Il Signor Samminiato ha voluto prevenir la mia risposta, ed io son contento che mi vinca di velocità; egli a me nel campo d'Amore fu non piccolo avversario, ma in quel della verità poteva esser meco d'accordo; nondimeno facemmo insieme lunga contesa, egli con arme incognite, dalle quali io peravventura, come poco esperto, non sapeva ben difendermi; io con quelle, che m'erano

prestate dal Signor Antonio Montecatino, valorosissimo tra i Peripatetici, e tra i Platonici filosofanti, perchè sue erano le Conclusioni, per la maggior parte, ed io da lui aminaestrato volli difenderle; ma ebbi brevissimo spazio d'apparecchiarmi alla difesa, e fu da me conceduto lunghissimo a chi voleva oppugnarmi, a'quali non tenni occulta alcuna delle mie ragioni: ma da loro fui assalito, quasi all'improvviso; laonde non sarebbe maraviglia che a giudicio della mia donna medesima io ne riportassi il peggio: ma io vorrei che le mie ragioni fossero considerate, con animo quieto, e senza lo strepito, e l'appaluso di quello quasi teatro di donne, e di cavalieri. Però non mi contentando della viva voce, o del parlare, nel quale, per impedimento della lingua, fui poco favorito dalla natura, pensai di scriver la mia opinione.

SAMMINIATO. Voi nelle Conclusioni Platoniche siete contrario a Platone medesimo, avvengachè Platone nel suo Dialogo della bellezza, nel quale introduce Fedro con Socrate a ragionare in riva dell'Ilisso, loda la viva voce, e biasima l'invenzione, e l'inventore delle lettere, con ra gioni, se io non sono errato, irrepugnabili.

CATANEO. Già io lessi quel obe dal Caro, stanco dell'ufficio suo, fu scritto in questo argomento, nel quale egli esercitò le forze del suo maraviglioso ingegno; ma volentieri intenderei le ragioni di Platone.

SAMMINIATO. Disse Platone, o Socrate piuttosto, ch'essendo Tamo Re dell' Egitto in una grandissima, ed amplissiina città, che i Greci, e gli Egizj similmente chiamano Tebe, sotta la protezione del Dio Ammone, venne a trovarlo un Demone, nominato Teut, a cui fu consecrato l'uccello Ibi, e questi gli dimostrò l'arti da lui ritrovate, perchè dal Re fossero a' popoli dell' Egitto distribuite furono l'arti, ch'egli ritrovò, quella del numerare, e del far conto, la geometria, l'astrologia, il giuoco de' dadi, e le lettere: ma essendo Teut domandato dal Re dell'utilità di ciascuna, gli mostrava partitamente a che fossero buone, e giovevoli, ed il Re all'incontro lodava, o biasima va le cose da lui dette, come più gli pareva conveniente; laonde in ciascuna dell' arti ritrovate, molte cose furono dette

dall' una parte, e dall'altra: ma discendendo a ragionar delle lettere, disse il Demonio Teut: Questa disciplina, o Re, farà gli Egizj più savj, e più pronti di memoria; perciocchè l'invenzione delle lettere è un rimedio della memoria, e della sapienza. Ma il Re rispose: O artificiosissimo Teut, altri è atto a fare gli artificj, altri a giudicarne: : ma tu, nuovo padre delle lettere, per soverchia benevolenza t'inganni nel darne giudizio; perciocchè l'uso delle lettere, per la negligenza, che ciascuno userà nell' imparare a mente, genererà piuttosto oblivione, che memoria nell'animo, il quale confidandosi in questo segno, o artificio esteriore, non rivolgerà fra se medesimo le cose, che sono dentro di lui; laonde non hai trovato un rimedio per la memoria, ma per l'oblivione; ed insegni piuttosto a' tuoi discepoli l'opinione della sapienza, che la sapienza medesima, perchè avendo letto molte cose senza l'ajuto del maestro, parranno dotti agli uomini volgari, quantunque non sieno; e saranno oltreciò molesti, siccome coloro, che non sieno sapienti, ma presontuosi per l'opinione della sapienza; e da questa arroganza nascerà un disprezzo de' maestri negli uomini moderni, a' quali sarà molesto ascoltargli; laddove agli antichi non era grave, per saper la verità, ascoltar le querce, che ragionavano, e predicevano i fati, e le venture de' miseri mortali. Sciocco adunque è ciascuno, il quale porti opinione d'aver ferma scienza per arte scritta, e raccomandata alle lettere; oltreciò, per autorità di Socrate medesimo, le lettere sono simili alle pitture, le quali essendo addomandate, nulla rispondono; e dove sia chi le biasmi, non sanno difendersi ; ma hanno bisogno dell'ajuto del padre, che le difenda, perchè da se siesse non possono far contrasto all'avversario: non distinguono i tempi, i luoghi, e le persone, ma sempre dicono a tutti le medesime cose; laddove il parlare si accomoda alle occasioni, ed agli uomini, co' quali si ragiona, e quasi legittimo fratello delle lettere, è di loro molto migliore, e più possente, e può dare ajuto a se stesso, ed intende appresso chi parla, e quando sia tempo da

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